Spesso e volentieri, da quando scrivo per diletto, i miei genitori, parenti, amici e conoscenti, i miei professori e compagni di scuola, la mia attuale compagna di vita, persino qualche mia collega di lavoro, insomma tanti mi hanno rimproverato di avere un “talento sprecato”, cioè di aver dissipato la mia intelligenza, il mio ingegno, le mie qualità e potenzialità nell’arte della scrittura. E’ probabile che abbiano qualche ragione.
Tuttavia, mi piacerebbe sapere cosa significhi “sprecare” un talento. Per caso si intende che non ho saputo sfruttare il mio talento creativo (se davvero possiedo un talento) per fare soldi, per arricchirmi ed ottenere successo, per diventare famoso, o cose del genere? Ma da quando, chi sa veramente scrivere riesce ad arricchirsi in un mondo gretto e rozzo come il nostro?
So benissimo che in un’economia di mercato i soldi si accumulano vendendo merci e beni di consumo, e che in un’economia capitalistica i soldi si fanno con i soldi… degli altri!
Ebbene, se un talento qualsiasi venisse ad essere mercificato, nel senso che venisse trasformato in merce, e come tale venisse esposto e messo in vendita sul mercato, allora è probabile che ci sarebbero discrete possibilità di guadagnare qualcosa, ma in realtà soltanto le briciole sarebbero destinate allo scrittore (a meno che non si tratti di Umberto Eco), mentre gli utili maggiori e più consistenti andrebbero sempre a finire nelle tasche degli editori, che sono i padroni assoluti della cultura, precisamente dell’industria culturale.
Infatti, nell’attuale società mercantile e consumistica, la cultura, l’arte, la poesia, la letteratura, la filosofia, sono diventate vere e proprie merci da far circolare, vendere e comprare, fanno parte integrante dell’industria culturale e dell’industria dello spettacolo, finiscono talvolta esposte in televisione, magari al Maurizio Costanzo Show o in altri salotti televisivi.
In un contesto di mercato capitalistico, i valori e i talenti più autentici, in campo artistico, creativo e spirituale, sono inevitabilmente rinnegati, misconosciuti e mortificati, la qualità viene sacrificata e svilita, per favorire invece altre doti ed altre peculiarità, di tipo economico-quantitativo, ossia le caratteristiche tipiche di una produzione commerciale, come un manufatto che ha la proprietà di essere venduto più facilmente, che gode del gradimento del pubblico e dunque può essere fabbricato su scala industriale.
Il sistema tende quindi ad esaltare e premiare non i veri talenti, i veri valori, i prodotti di gran pregio e qualità, bensì seleziona e promuove altri tipi di prodotto culturale, che assecondino e soddisfino le esigenze del mercato e del profitto, gli interessi più materiali ed affaristici che nulla hanno a che spartire con la vera arte, con l’ingegno e l’estro creativo, con l’intelligenza critica, con la libertà e l’autonomia del pensiero, con la preparazione culturale e lo studio, con l’impegno serio e rigoroso, con la maestria e la bravura del vero artista.
Personalmente, sono sempre stato convinto che, se per ipotesi (non tanto assurda) nascesse un nuovo Dante Alighieri, un nuovo Boccaccio, un nuovo Giacomo Leopardi, un nuovo Pasolini, oppure un nuovo Giotto, un nuovo Leonardo da Vinci o un nuovo Michelangelo, insomma un nuovo genio dell’arte, della narrativa letteraria, della poesia, molto probabilmente si farebbe già un’enorme fatica a scoprirlo e “lanciarlo” sul mercato, e nel caso si arrivasse a pubblicarne le opere, credo che queste non riuscirebbero a riscuotere il successo che meriterebbero, mentre si continuerebbe a concedere spazio, a privilegiare e a sostenere le solite “Barzellette di Francesco Totti” ed altre simili baggianate, che invece si vendono a iosa.
Insomma, nel nostro tempo e nella nostra società non c’è spazio per il mecenatismo a beneficio dei grandi ingegni e talenti dello spirito umano, non si potrebbe mai sviluppare un nuovo Rinascimento artistico-culturale pari a quello che rese grande e splendido il periodo intercorso tra la metà del 1400 e la metà del 1500, in quanto non godrebbe del supporto e dei favori degli sponsor finanziari, degli editori, dei produttori televisivi, dei manager e dei padroni dell’industria e del mercato della cultura.
Su questo non ho alcun dubbio, purtroppo.
Lucio Garofalo