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Manifesto Nordgarden @ Brevevita

Un posto semplicissimo in cui entro e sto bene

C’è un locale che da circa un anno ospita i migliori nomi del sottobosco indie italiano. Si chiama Brevevita e si trova a Centobuchi, un paesino della vallata del Tronto a pochi minuti d’auto dal mare di San Benedetto. In un ambiente dal design ineccepibile e in compagnia di ottimi drink, nelle ultime settimane si sono esibiti Casador (il più recente progetto di Alessandro Raina) e Samuel Katarro, ovvero il buono che riesce a saltar fuori quando la nostra musica ha il coraggio di rinnovarsi.
Abbiamo rivolto alcune domande al poliedrico Natalino Capriotti, patron di Brevevita.


Brevevita prima di essere un locale era qualcos’altro. Ci puoi raccontare la storia del progetto?
Bè, avevo dato in gestione la videoteca e volevo fare un locale. Attendendo i permessi del comune (1 anno e mezzo) ho iniziato a farlo su internet. Un bar con 8 tavoli strutturato come un fotoromanzo, a ogni tavolo un uomo e una donna, sequenza di foto, dialoghi sotto. Ho avuto tutto il tempo per imparare a usare photoshop, l’html, e di fare una serie di riflessioni sull’Italia e sugli altri paesi europei: in Gran Bretagna per aprire un negozio si impiegano 12 ore. Sicuramente è per questo che dominano da sempre sul mondo.

Alla fine Brevevita è diventato un vero locale. Hai qualche modello di riferimento e quanto si avvicina l’attuale Brevevita al tuo locale dei sogni?
Il locale dei miei sogni è un posto semplicissimo in cui entro e sto bene. A Brevevita sicuramente questo accade. Il modello di riferimento era il sito, brevevita.com, che vogliamo assolutamente far crescere e progredire anche in altre direzioni, tipo farlo approdare in versione cortometraggio, o streaming, c’è molto da lavorare. Il resto lo hanno fatto l’interior designer Andrea Tattoni e i miei soci Guido Spinozzi e Alessio Zappasodi, che hanno regalato a questo paese un locale bellissimo.
 

Brevevita non è esattamente un nome benaugurante per un locale. Evidentemente non sei affatto superstizioso.
In realtà mi sono basato più sul suono delle parole che sul loro significato. Volevo che il locale avesse un nome in italiano, mi piaceva un nome semplice, breve, e che dovesse contenere al suo interno la parola “vita”. In quel periodo stavo scrivendo un racconto intitolato “finora breve vita”. Questo titolo mi piaceva parecchio, e siccome era troppo lungo ho tolto “finora”.

Combattere contro il deserto culturale della provincia è come combattere contro i mulini a vento?
No. I mass media ed internet ce li abbiamo anche quaggiù. Al contrario ultimamente vedo molto più fermento in provincia piuttosto che nelle metropoli. Io vivo qui ovviamente, ma giro, e ho molti contatti. Le metropoli le sento stanche, annerite dal traffico ed abitate da gente rattrappita nei condomini e terrorizzata dalla delinquenza. Qui i ragazzi sono emancipati ed hanno fame. In città spesso mi capita di conoscere dei viziati fuori dal mondo che vivono in campane di vetro.

In questi mesi avete ospitato artisti di grande livello come Paolo Benvegnù, Nordgarden, Alessandro Raina: c’è stata un’esibizione che ti è rimasta nel cuore più di altre?
Baby Blue e Casador. Nordgarden era un centro praticamente troppo facile. Alzi la cornetta, chiami Nordgarden e sai che sarà un successone. Le prime due invece sono state due autentiche scommesse, andate benissimo, che ci hanno dato due splendide soddisfazioni.

Ed invece tra i tanti nomi emergenti che hanno suonato a Brevevita su quale ti senti di scommettere?

Io scommetto su tutti quelli che sono venuti, perché se chiamiamo qualcuno a suonare vuol dire che ci crediamo, ma volendo fare una selezione direi Casador, perché a parte il talento l’ho visto molto scaltro, attentissimo ad ogni mossa, agenti, etichette ecc. questo è molto importante. Direi Baby Blue, così giovani e già così perfettamente equilibrati. Citerei anche Le Gorille, di Livorno, fortissimi, e così fuori dalle mode. Poi Thony, una voce che lievita magicamente ascolto dopo ascolto, e i Kobayashi, di Carrara, che hanno dei testi stupendi e la rara capacità di incastrare il rock alla lingua italiana.

Dall’osservatorio privilegiato di un locale in cui si fa musica, qual è il tuo giudizio sull’attuale scena indipendente italiana?
Molto interessante. Ci sono diversi scenari. Uno in particolare fermento lo vedo muoversi in Toscana, poi Ravenna (Schonwald e Comaneci li ospiteremo a maggio), poi sicuramente Napoli. Non mi baso solo su quelli che sono venuti a suonare, ma anche sulle proposte che ricevo. E molte, interessanti, le ricevo da Napoli. Anche da Milano giungono delle proposte sicuramente valide. Mi piacerebbe anche scoprire la scena bolognese, che mi dicono particolarmente attiva. Per i prossimi mesi abbiamo nel taccuino i Phono Emergency Tool (Bologna appunto), Giuliano Dottori (Milano) e Vittorio Cane (Torino).

 Pierluigi Lucadei

Interviste

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