Memorie di un realista esistenziale
AREZZO – Alberto Sughi “Il segno e l’immagine”. Alla soglia degli ottant’anni il massimo pittore italiano si lancia alla ricerca di nuove avventure e presenta 50 inediti, un Ciclo dei Cicli nato dopo l’11 settembre.
Alberto Sughi rilancia. Alla soglia degli ottant’anni, quando ancora non si è spenta l’eco della sterminata antologica di Parma, il grande vecchio del realismo esistenziale, massimo pittore italiano di questi nostri giorni, spariglia il gioco e si rimette in discussione avventurandosi a sorpresa in una nuova stagione creativa, presentando ad Arezzo 50 inediti di medio-grande dimensione, opere su carta realizzate negli ultimissimi anni, frutto di una rilettura spassionata del passato (tecniche, colori, materiali, contenuti), alla ricerca di spazi inesplorati, atmosfere, sensazioni, verità. Promossa dal Comune di Arezzo (Assessorato alla Cultura), la mostra Alberto Sughi. Il segno e l’immagine (Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea, 14 aprile – 21 maggio 2006) è un nuovo e più maturo viaggio intorno all’uomo, un nuovo grande romanzo esistenziale, l’ultimo sofferto fuoco fatuo dedicato a un’umanità smarrita e alla sua quotidiana solitudine, all’incomunicabilità che attraversa i nostri contesti urbani, all’impossibilità di afferrare il senso e la misura delle nostre vite precarie. Cura l’esposizione lo storico dell’arte Giovanni Faccenda, che parla di Ciclo dei Cicli, di summa filosofico-artistica, di ennesimo, inatteso giro di giostra per una vocazione all’affresco narrativo manifestata da Sughi dai primissimi anni ’70 con le Pitture verdi e poi coltivata attraverso i dipinti della Cena, di Immaginazione e memoria della famiglia, di La sera o della riflessione, fino al Notturno esposto nel 2000. I personaggi anonimi e ordinari di queste nuove opere hanno occhi e gesti privi di espressione, fissano il vuoto del tempo e dello spazio, drammaticamente assorti, negati al dialogo, forse alla ricerca di significati che tuttavia sfuggono. Giovane ragazza, Doppio ritratto, Figure al caffè, Due persone nella stanza, La gente del Bar… Titoli che accompagnano attese silenziose, nervose partite a carte, mozziconi di sigarette che si spengono lenti, fra indice e medio, come le illusioni che hanno alimentato tante labili esistenze. Scene colte nell’attimo fuggente, come singoli fotogrammi di un film bloccati nel fermo immagine e così isolati dal contesto. Non a caso Sughi sostiene da sempre di aver imparato a dipingere dal cinema. Ma benché grave, annota Faccenda nel catalogo, il tono della descrizione non implica il senso del travaglio o dell’angoscia: “Affiora semmai”, spiega, “un genere di oppressione, di ansia dovuta a fatti rimasti irrisolti, dubbi che continuano a non avere spiegazione, al fondo dei quali la mente torna, talora, con malinconia e rimpianto, quasi fosse richiamata da una lontana eco”. A Ciclo dei Cicli Sughi preferisce in realtà Memorie e immaginazioni di un realista esistenziale, all’idea della sintesi rivolta al passato privilegia quella di una riflessione affacciata sulle verdi praterie del futuro. Ma il senso è identico. Sughi traduce Faccenda e viceversa. L’artista parla di rilettura critica, di immersione nelle profondità della propria identità personale, di nuovi cocktail costruiti a colpi di immaginario, disegni, colori, materiali, pittura, alla ricerca di nuovi significati. “Nel Naufragio che dipinsi nel ’68”, ricorda, “l’acqua che sommergeva il salotto minacciava le comodità piccolo borghesi. In quello del 2006 è l’anima che cola a picco”. Appunto. “Ma i caffè di Sughi”, sostiene Faccenda, “non sono i placidi locali di Rosai. Sono luoghi dell’immaginazione, ribalte ideali su cui si muovono figure che rappresentano la storia sentimentale e intellettuale dell’autore. Siamo a metà tra Schopenauer e Kirkegaard, tra Sartre e Camus, tra Antonioni e Fellini. In questi caffè si respirano le atmosfere inquiete del dopo 11 settembre. Sughi dipinge l’uomo provvisorio nato dalla tragedia di New York”.
Da segnalare, nel catalogo, i testi di Salvatore Italia, capo dipartimento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, di Luigi Cavallo e una lunga intervista a Sughi di Sergio Zavoli. Da ricordare, infine, che la Galleria comunale d’arte moderna e contemporanea di Arezzo si trova in piazza San Francesco, accanto alla Basilica che accoglie il celeberrimo capolavoro di Piero della Francesca, La Leggenda della Vera Croce, e davanti al Caffè dei Costanti dove Roberto Benigni ha girato alcune scene della Vita è bella.
Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea, piazza San Francesco 4, 52100 Arezzo, 0575.299255 Orario: mart.–ven. 10-13/15-18, sab.-dom. 10-18 (chiuso lunedì). Ingresso: € 6, ridotto € 3.
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