Willard Grant Conspiracy “Let It Roll”
Etichetta: Glitterhouse / Venus Brani: From A Distant Shore / Let It Roll / Dance With Me / Crush / Flying Low / Skeleton / Breach / Mary Of The Angels / Ballad Of A Thin Man / Lady Of The Snowline Produttore: Robert Fisher
Che immensa band sono diventati i Willard Grant Conspiracy! La prova maiuscola di questo sesto album in studio, registrato tra la Slovenia e l’Olanda durante l’ultimo tour europeo, è di quelle che non ammette repliche e offre luminosa conferma di come il barbuto Robert Fisher, carismatico leader della band americana, non sia secondo a nessuno quanto alla straordinaria capacità di evocare scenari infinitamente neri attraverso la scrittura. Let It Roll è più rock del precedente Regard The End e non è un caso che il disco prenda il titolo dalla sua canzone più dura e acida. La title-track è un mantra di nove minuti e mezzo dove cuore, impeto, visioni non proprio idilliache di lune ghiacciate e papaveri piangenti si beano di chitarre furiose e di un piano malato, ed è basata sulla lettera di Sullivan Ballou – testimonianza tra le più note della Guerra Civile Americana – che l’autore scrisse pochi giorni prima di morire nella battaglia di Bull Run. E’ il cordone con la tradizione che i Willard Grant Conspiracy non hanno mai pensato di tagliare, con grande beneficio del loro folk-rock, che suona antico, austero ed inattaccabile come una parabola biblica. Le canzoni superano tutte i cinque minuti ma non ce n’è una che annoi. Dall’intensa From A Distant Shore, ballata per piano, violino e tromba, alla commovente Skeleton, la voce di Fisher è il migliore amuleto per le anime che hanno perso la dritta via e hanno gettato le bussole alle ortiche e non osano promettersi un futuro radioso ma in fondo ci sperano. Il walzerino Flying Low, scritto a quattro mani con Steve Wynn, e la movimentata Breach suonano come gli unici episodi spensierati in un album dominato in lungo e in largo da un fatalismo religioso che mozza il respiro e non pone altre alternative oltre al viaggio e al rifugio nell’angolo più buio della nostra vita. Mary Of The Angels, scritta originariamente per Regard The End, di quel disco porta il marchio indelebile, ballata malinconica arricchita dai cori al femminile di Mary Lorson e Esther Sprikkelman, così come la conclusiva Lady Of The Snowline, delicatamente infusa di speranza («there’s many toils and troubles/that lead us to this place/the memory’s made sweeter/by these days filled with grace»). Perché quando si decide di partire, ecco Fisher spiegare il significato salvifico del nomadismo, vissuto nella sua forma più pura e scenografica. Per un disco come questo non a caso molti parlerebbero di frontiera. Lande sperdute, luoghi di morte e resurrezione, deserti ospitali echeggiano nelle dieci tracce di Let It Roll, in un continuum emotivo disperato e bellissimo. I Willard Grant Conspiracy sono in stato di grazia e buttano senza paura nel disco anche la loro versione allucinata di un classico dei classici: Ballad Of A Thin Man, già pubblicata in una compilation del magazine Uncut e qui riproposta nella sua forza abrasiva. Oltre agli ospiti già citati, sono accorsi a dare il loro contributo anche Chris Eckman (Walkabouts) con synth e organo, Dennis Cronin (Lambchop) alla tromba, Robert Lloyd (John Wesley Harding) al mandolino. Ancora una volta è dall’America più polverosa ed oscura che vengono le cose migliori.
|