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“Saturno contro” (Italia, 2007) |
“Saturno contro” di Ferzan Ozptek
Ozpetek torna, a sei anni di distanza da “Le fate ignoranti”, al racconto corale di un gruppo di amici dalle dinamiche relazionali libere nella Roma borghese dei nostri tempi. Lo fa alzando la posta in palio, buttando in primo piano un amore tra due uomini, Davide (Pierfrancesco Favino) e Lorenzo (Luca Argentero), e sconfinando dal proposito iniziale di radiografare l’amicizia nella presunzione finale di radiografare attraverso di essa il distacco e la perdita. Purtroppo il regista di origini turche non sfrutta il potenziale del film – mentre si fa un gran parlare di Pacs una pellicola del genere avrebbe potuto essere esplosiva – e si ingarbuglia nel suo linguaggio fatto di sonorità calde e avvolgenti ma anche di cucina e abiti impeccabili, sbagliando tempi e modi.
La voce fuoricampo è quella di Luca Argentero, scelta insolita e infelice per due motivi: Argentero è il meno attore tra tutti i protagonisti e il suo tono non è affatto convincente; in secondo luogo, il suo personaggio scompare troppo presto, così il film finisce per essere incongruo sotto il profilo narrativo, con la voce fuoricampo, che tiene uniti gli eventi nella prima parte, che scompare nella seconda, salvo poi ricomparire nell’indecoroso finale, in cui si vedono tutti i personaggi attorno ad un tavolo da ping pong a giocare la partita dell’amicizia eterna. Con ogni probabilità, la scomparsa della voce fuoricampo è, nelle intenzioni degli sceneggiatori, la cesoia che ci fa entrare nella metà più drammatica della pellicola, quella costruita attorno all’elaborazione del lutto. Un’elaborazione farcita di simboli che lasciano perplessi (il contemporaneo lutto dell’extracomunitaria, la panca dell’ospedale rimasta vuota, il cartellone pubblicitario tirato via) e che non si arrischia mai nei territori pericolosi dell’analisi psicologica (con la sola eccezione di Pierfrancesco Favino e del suo pensiero di suicidio seguito dal pianto di fronte al dirupo), mostrando invece la facciata esterna del dolore, con la macchina da presa in posizione di guardia, a cercare il bello ad ogni costo laddove dovrebbe tirar fuori la bestia – o almeno lasciarla intravedere – che rode gli amici del ragazzo scomparso. Così finisce per sembrare tutto artificioso, anche l’agghiacciante ritardo con cui Vittorio (Luigi Diberti) viene a patti con l’omosessualità del figlio, e la scelta (politica) di mostrare una coppia gay che ha deciso di condividere tutto, a partire dalla casa e dal conto in banca.
A lasciare perplessi sono anche certi personaggi caricati oltremisura: innanzitutto Roberta, una drogata fissata con l’astrologia che l’apprezzabile interpretazione di Ambra Angiolini non salva dal patetico; poi Minnie, mogliettina fuori luogo affidata a Lunetta Savino; e Roberto, il poliziotto balbuziente di Filippo Timi. Il regista si fa portavoce di una borghesia medio-alta senza problemi economici, una classe sociale – così pare – alla ricerca di un’armonia e di un’agiatezza che non vogliono complicazioni (Lorenzo: «Non voglio novità, colpi di scena. Voglio che tutto rimanga così per sempre»); strizza l’occhio a “Il grande freddo”, senza frequentarne l’estetica malinconica e disillusa, ma inebriando i suoi personaggi del loro stesso benessere, con l’ulteriore distinguo che la colonna sonora, invece delle canzoni di Procul Harum e Buffalo Springfield, ha quelle di Giovanni Pellino in arte Neffa. E se le parti migliori del film sono i duetti tra Accorsi e la Buy, nei ruoli dentro i quali sono intrappolati da tempo (marito fedifrago e moglie cornificata), per Ozpetek c’è poco da sorridere. Film mediocre di un regista sopravvalutato.
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Pierluigi Lucadei
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Recensioni |
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il 26 Feb 2007 alle 17:09 |
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