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“Italia De Profundis” (Minimum Fax, 2008 – pag. 352; € 15) |
Giuseppe Genna “Italia De Profundis”
“Italia De Profundis” è un’altra cosa. Un libro che si colloca dove il nostro Paese non arriva a vedere e a vedersi. Fermata terminale di un viaggio ultralesivo, abisso sciamanico ed eretico. Dotato della stessa circolarità di “Lost Highways”, non obbliga ad una lettura che inizi dal prologo (non a caso intitolato “Non inizio”) e termini con l’epilogo: annullata la linearità, “Italia De Profundis” sprigiona la sua energia negativa attraverso un moto perpetuo di devastazione. E’ un romanzo che si ingigantisce e ingigantendosi si deforma, come le carpe della sede Mondadori di Segrate, elefantiasicamente grottesco ma disperatamente reale. Genna è allo stesso tempo il burattino vudù da devastare e il burattinaio attento a mantenere l’equilibrio tra la narrazione e il racconto, tra la circolarità delle devastazioni a sé rivolte – come nelle “Quattro storie di merda che non ricordo più”, titolo wallaciano per quattro squarci che tirano in ballo temi scomodi come l’eroina, l’eutanasia, la pedofilia, il sesso altro con tre travestiti contemporaneamente, e un’autopsia in forma di lettera che lascia sbalorditi («Carissimo, la tua idea della letteratura mi fa schifo. Neanche: siccome non hai un’idea della letteratura, non posso nemmeno detestare qualcosa che non esiste. Il che significa che odio te, direttamente te, personalmente e nello specifico.») – e la caduta libera in un villaggio dei sogni che è un non-sogno, un incubo, è l’Italia in miniatura nell’apice di miseria intellettuale su cui è riuscita ad arrampicarsi negli ultimi anni. Il villaggio turistico – (non) luogo fin troppo utilizzato dalla letteratura recente, per esempio da Houellebecq e Wallace, peraltro più volte citati nel libro – dove Genna crede inizialmente di rifugiarsi dalla solitudine, nell’estate dell’abortito viaggio in Burkina Faso, l’estate di Valentino Rossi nei guai col fisco, l’estate «improduttiva e faticosa» del 2007, è il peggior buco del culo del Belpaese allo sfascio. Significativamente, Genna abbellisce le spiagge di Cefalù con l’opera omnia di Burroughs. Dal punto di vista strettamente letterario, però, il racconto della discesa nel villaggio turistico è meno fragoroso e dunque meno efficace della prima parte del libro: è nei momenti in cui sfugge al controllo che risiede l’“Italia De Profundis” più esaltante. A nessuno verrebbe in mente di impugnare un libro del genere per il proprio tornaconto, a nessuno di tenerne il controllo. Genna ha scritto prosa incontrollabile, imponderabile nel presente, futuribile se il senso di tutto ciò che è attuale non gli somiglia, «un romanzo indefinito, dove si vaghi fino all’estenuazione di sé, fino a sentire nuovamente in sé il peso di se stessi». La trama è quella che è (diciamo milleriana giusto per scoraggiare gli impazienti o solo per significare un minestrone degno della crocifissione rosea), i dialoghi sono ridotti all’osso (Genna non ama i dialoghi), la struttura non già postmoderna (non inganni il capitolo intitolato “La fine è all’inizio”) ma antiromanzesca, i diversi registri applicati ad una prosa vulcanica (dall’enciclopedico al coprolalico) a segnare continui cambi di passo: “Italia De Profundis” è un atto di coraggio. Orgiastico. Masochista. Onanista. Patologico. Ipnotico. Alienante. Alieno.
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Pierluigi Lucadei
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Recensioni |
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il 28 Dec 2008 alle 16:06 |
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