Bruce Springsteen & the Seeger Sessions Band @ Palamalaguti, Bologna – 01.10.06
BOLOGNA – Parte da Bologna il tour europeo di “We Shall Overcome – The Seeger Sessions”, con ben sette date in Italia, cosa mai successa prima.
Può un mito superare se stesso? Può a 57 anni fare uno dei più bei tour della sua carriera e di tutta la storia del rock? Può farlo affidandosi quasi esclusivamente a canzoni non sue? Ma cos’è quest’uomo? Può, guardandoti negli occhi, farti immaginare un futuro diverso dall’eredità della tua terra che hai sempre ritenuto ineluttabile? Come riesce a trasmettere sempre e immancabilmente la sua idea di libertà, e il suo continuo dire sì alla vita? Certo, Bruce è Bruce, ma il 2006 lo sta proiettando sempre più verso una dimensione ultraterrena, dove la leggenda non basta più, dove il mito si distrugge per materializzarsi in una nuova più alta forma, ogni sera nel luogo in cui da sempre si sente più a suo agio, il palcoscenico. Se si presenta in scena con una chitarrona folk e, senza alcun intro, inizia ad urlare la storia di John Henry, un operaio che innalza il martello a suo personale simbolo di vita e di morte, c’è qualcosa che forse molti non hanno capito. Dice l’adagio popolare che il mondo si divide in due tipologie di persone, quelle che amano Bruce e quelle che non hanno mai visto un suo concerto. Volendo estendere questa seconda cerchia a tutti quelli che si sono sempre sentiti poco in sintonia col ragazzo del New Jersey nato per correre via dal buio delle periferie, mi sento di consigliare vivamente loro di non lasciarsi scappare il progetto Seeger Sessions, il disco, il tour, tutto. Dentro Old Man Tucker, Eyes On The Prize, Pay Me My Money Down e a tutte le altre canzoni del progetto c’è un fuoco che non aveva mai bruciato in maniera così sentita, pur abitando da sempre dentro Bruce, sin da quel giorno della sua infanzia, quando chiese a mamma Adele se lei e suo padre, autista di autobus, fossero democratici o repubblicani. «Democratici», si sentì rispondere, «noi stiamo dalla parte di chi lavora». John Henry iniziò a bussare al cuore di Bruce già allora, insieme a Tom Joad, Joe Roberts, Bill Horton, tutti i personaggi che in trentacinque anni di carriera hanno mostrato l’anima di un musicista, pur amatissimo dalle folle oltre che dal suo zoccolo durissimo di adoratori fedeli, che continua ad essere non capito appieno da molte orecchie superficiali, complice forse il perpetuarsi dell’equivoco legato ad un inno nazionale e ad una copertina con la bandiera a stelle e strisce. Il testo del suo inno è un tale calcio nei coglioni che può essere frainteso solo con la malafede; oltretutto sopra quella bandiera Bruce ci aveva messo il suo posteriore, ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Oggi il ragazzo è diventato un capopopolo armato solo della sua voce. Nel tour dello scorso anno, quello di Devils & Dust, a prevalere era un’atmosfera di raccoglimento, un dare e avere ai limiti del religioso, tanta era l’intensità dell’esecuzione e tanto silenzioso il rispetto nell’ascolto. Tutt’altro spirito anima invece il tour delle Seeger Sessions: sembra di essere ora in un saloon, ora in un bordello, ora in una festa di paese. Bruce prende le canzoni di protesta cantate da Pete Seeger, ci monta sopra e letteralmente le cavalca come una furia. Sembra una sparata, ma non temo smentite: una O Mary Don’t You Weep con la Seeger Sessions Band non si distacca troppo dal travolgente cannibalismo di una Born To Run con la E Street Band. Il trombone di Eyes On The Prize lo vorrei per il mio funerale, perché quando parte lanciato vado via come il vento che può scompigliarti i capelli su una strada di tuono, vorrei chiedere a Bruce se me lo affitta, quanto vuole, quanto mi costa. E quando canta If I Sould Fall Behind faccio una promessa a me stesso e non la rivelerò a nessuno, perché una versione così può uscire solo dal cuore di un uomo troppo grande per questi tempi miseri, per queste lande cattive. Forse più bella dell’originale, e l’originale è una delle canzoni d’amore più belle degli ultimi vent’anni. Pay Me My Money Down è il coro minaccioso e gioioso insieme di una ciurma in rivolta, dodicimila bocche e nemmeno una che riesca a restar zitta. My City of Ruins è storia della letteratura americana, semplicemente lascia senza fiato. We Shall Overcome, così rallentata, è come una preghiera. Poi, Bruce stasera mi fa anche piangere. E’ durante The River, mai così solenne, cantata con la fierezza di chi ha saputo chiudere dentro una canzone le verità più crude e vere e rosse come il sangue e la passione, le verità sulla vita e sull’amore e sulla giovinezza e sul tradimento e sul peso del passato. La canzone preferita di sua sorella e, dopo stasera, pezzo lacrima non solo per me: mi volto di qua e di là, tutti a stropicciarsi gli occhi, forse siamo dodicimila pazzi, ma giù nel fiume scendiamo come fratelli, tutti insieme. E il capo non è davanti stavolta, è in mezzo a noi.
Setlist: John Henry/O Mary Don't You Weep/Old Dan Tucker/Eyes on the Prize/Jesse James/Atlantic City/The River/My Oklahoma Home/If I Should Fall Behind/Mrs. McGrath/How Can a Poor Man Stand Such Times and Live?/Jacob's Ladder/We Shall Overcome/Open All Night/Pay Me My Money Down// My City of Ruins/You Can Look (But You Better Not Touch)/When the Saints Go Marching In/This Little Light of Mine/American Land
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