Sapete come avviene l'evasione fiscale e la fuga di capitali all'estero? Vi do alcuni indizi: un chilo di carta igienica dalla Cina a 4121,80 $, una penna a sfera da Trinidad a 8500 $. Se siete curiosi leggete questo articolo di di Michael Woodiwiss.
Evasione fiscale, frode e fuga di capitali
Articolo estratto dal libro: "Capitalismo a mano armata"
di Michael Woodiwiss.
Negli ultimi decenni la tendenza alla globalizzazione dei mercati finanziari è stata accompagnata dal rapido incremento di tre tipi di attività finanziaria illecita. Mentre gli Stati Uniti hanno cercato di arginare uno di questi fenomeni - il riciclaggio di denaro - è stato fatto poco per promuovere più efficaci controlli riguardo all'evasione fiscale e alla fuga di capitali, reati molto più dannosi.
L'evasione fiscale, come spiegato dallo storico dell'economia Eric Helleiner, riguarda capitali guadagnati legalmente ma diventati illegali perché investiti in modo tale da evadere il fisco.
Lo sviluppo tecnologico, in particolare di quelle tecnologie che facilitano il movimento immediato di capitali, e l'eliminazione dei controlli sui capitali hanno agevolato l'evasione fiscale e l'hanno resa, a quanto pare, quasi un obbligo tra i ricchi.
Nel 2002 l'Internal Revenue Service statunitense, ad esempio, stimò che una percentuale compresa tra uno e due milioni di americani evadeva le tasse depositando segretamente capitali in paradisi fiscali come le Isole Cayman e poi prelevandoli tramite carte di credito American Express, Master Card e Visa.
È probabile che questi conti esteri siano intestati a coloro che rientrano nell' 1% dei più ricchi contribuenti americani, categoria alla quale appartengono personaggi del mondo dello spettacolo, titolari d'imprese, investitori e altri che usano i conti esteri per nascondere fatture, profitti, dividendi, interessi e proventi di capitali.
I dipendenti ordinari, le cui paghe sono comunicate all'IRS dai loro datori di lavoro, avrebbero poco da guadagnare da simili conti esteri.
L'IRS non poteva fare molto per scoraggiare simili attività dato che il Congresso, intento a limitare gli oneri statali, aveva ridotto in modo drastico il budget destinato alla lotta contro l'èvasione fiscale.
Il governo federale si opponeva di frequente ai tentativi fatti per combattere l'evasione del fisco. Robert M. Morgenthau, procuratore distrettuale di Manhattan, ad esempio, si lamentò che gli sforzi fatti dal suo ufficio per perseguire i brogli fiscali erano stati spesso ostacolati non solo dai governi esteri ma anche dal governo federale, in particolare dai dipartimenti di giustizia e di stato e dalle agenzie d'intelligence.
Ovviamente, come già visto, non tutto il denaro che si riversa nei paradisi fiscali esteri è stato legalmente guadagnato.
Come evidenzia William Greider in One World: «Il denaro sporco si nasconde nell'economia mondiale. Il capitale rispettabile si mischia col denaro sporco di imprese illegali (droga, gioco d'azzardo, traffico illecito d'armi) perché le banche estere permettono sia ai capitali guadagnati in modo legittimo che a quelli illegali di evitare le stesse cose: tassazione nazionale e controlli da parte del governo».
A dispetto della quasi universale ammissione che i paradisi fiscali erano pieni di denaro sporco, nell'aprile del 2001 il ministro del Tesoro statunitense, Paul O'Neill, confermò l'opposizione americana ai tentativi fatti dagli europei per riformare il sistema bancario estero.
Questa posizione portò la giornalista Lucy Komisar a dire che invece di dimostrarsi «"inflessibili al crimine" i repubblicani stanno fianco a fianco con i loschi personaggi che si nascondono a Nauru, Aruba, Liechtenstein e in altri luoghi che offrono ai delinquenti servizi finanziari d'avanguardia».
Mentre i cittadini più abbienti hanno proficuamente nascosto gran parte dei loro risparmi nei paradisi fiscali esteri, gli Stati Uniti hanno concesso numerose agevolazioni agli stranieri che volevano nascondere i loro capitali in banche americane.
Dagli anni Settanta, il paese ha incoraggiato gli evasori fiscali stranieri non applicando ritenute sulle entrate provenienti da depositi di risparmio di non residenti conservati nelle banche statunitensi.
Furono gli investitori dell'America Latina, in particolare, a trarre il maggiore vantaggio da questo espediente e riuscirono a evadere tasse su miliardi di dollari perché i loro governi venivano tenuti all'oscuro riguardo a questa grande fonte di capitale mobile.
Gli evasori fiscali stranieri, inoltre, beneficiarono della decisione presa nel 1984 dal governo statunitense di abolire il 30% di ritenute fiscali sugli interessi maturati da titoli di stato americani in possesso di stranieri e di emettere titoli al portatore (ad esempio anonimi) per i non residenti. Commentando quest'azione, il professor Rudiger Dornbusch del Massachusetts Institute of Technology rese chiare le conseguenze criminali di questa manovra: «L'amministrazione, nel tentativo di risanare il nostro deficit con una spesa irrisoria, ha incoraggiato frodi fiscali su vasta scala, come non era mai accaduto prima. Il solo scopo che si può immaginare per l'abolizione delle ritenute fiscali sulle partecipazioni azionarie dei non residenti negli Stati Uniti è quello di incoraggiare gli stranieri a servirsi del sistema finanziario statunitense come di un paradiso fiscale».
È chiaro che non tutte le strategie per eludere il fisco sono illegali. Quando sono legali sono spesso utilizzate dalle multinazionali, che sfruttano in particolare la tecnica discussa nel capitolo uno parte seconda, e nota come transfer pricing.
Queste società evitano le tasse sovraprezzando deliberatamente le importazioni e sottoprezzando merci e servizi d'esportazione, e ripartendo i profìtti tra le varie società del gruppo ubicate nei diversi paesi.
Prem Sikka, docente di economia all'università delll'Essex, cita, tra gli esempi del rimpasto del profitto delle multinazionali, le seguenti importazioni sovraprezzate di alcune società americane:
secchi di plastica dalla Repubblica Ceca a 972,98 dollari l'uno,
paletti per le staccionate dal Canada a 1853,50 dollari l'uno,
un chilo di carta igienica dalla Cina a 4121,80 dollari,
un litro di succo di mela da Israele a 2052 dollari,
una penna a sfera da Trinidad a 8500 dollari,
due paia di pinzette dal Giappone a 4896 dollari l'una.
Tra le esportazioni sottoprezzate:
abitazioni prefabbricate vendute a Trinidad e a Tobago per 1,20 dollari l'una
lanciatori di missili e razzi venduti a Israele per 52,03 dollari!
Le grandi imprese usano un linguaggio arcano per giustificare questi prezzi e si avvalgono di accreditate società di revisione, che verificano i loro conti e poi li dichiarano «veritieri e onesti». Considerato che le cento più grandi società del mondo controllano il 20% delle attività straniere globali e che circa il 60% del traffico mondiale avviene tra multinazionali, le opportunità per questo tipo di evasione fiscale sono tante.
Sikka cita alcuni studi secondo i quali il ministero del tesoro statunitense ha perso circa 175 miliardi di dollari di introiti tra il 2000 e il 2003.
Se torniamo alle attività finanziarie illecite intese in senso più stretto, il secondo tipo di reato maggiormente in crescita fin dagli anni Settanta è, a detta del professor Helleiner, la fuga di capitali.
Per fuga di capitali si intende il trasferimento del capitale finanziario da una nazione all'altra in modo da evadere i controlli nazionali.
Anche se molti dei paesi più ricchi hanno eliminato tali controlli e ridotto in questo modo il volume della fuga di capitali perché i flussi finanziari diretti all'estero, una volta illegali, ora sono legali, molti paesi in via di sviluppo praticano ancora controlli sul capitale nel tentativo di potenziare le loro economie.
I paesi poveri sono i veri perdenti visto che le opportunità di evadere i controlli hanno proliferato in seguito all'apertura dei mercati finanziari mondiali.
Mentre i sostenitori della liberalizzazione finanziaria ritenevano che l'apertura dei mercati avrebbe determinato un flusso di capitali dai paesi in cui abbondano ai paesi in cui sono scarsi, e aiutato così lo sviluppo dei paesi poveri, in realtà il fenomeno della fuga di capitali ha dimostrato il contrario. Nel 2002 il deficit statunitense era di circa 392 miliardi di dollari.
Martin Wolf, giornalista del «Financial Times», ha stimato che una delle più probabili fonti del rifinanziamento illegale del deficit è la fuga di capitali dai paesi poveri.
Così, sembra che i poveri vengano derubati per sostenere gli standard di vita dei ricchi.
L'enorme deficit degli Stati Uniti aiuta a spiegare perché la lotta all'evasione fiscale e alla fuga di capitali non sia considerata tanto importante quanto i provvedimenti presi contro il riciclaggio di denaro sporco.
La decisione del 1984 di emettere titoli al portatore ed eliminare la ritenuta ha favorito l'evasione fiscale e attratto i tanto ambiti capitali stranieri. La stessa preoccupazione, secondo Helleiner, ha contribuito alla quasi totale mancanza d'interesse mostrata dagli americani per le iniziative internazionali che prevedevano lo scambio di informazioni per combattere la fuga di capitali.
Le lobby finanziarie americane hanno contrastato ogni sforzo di regolamentare o arginare il riciclaggio di denaro sporco.
Lo stato americano ha inoltre conosciuto un boom delle attività bancarie private, in continua ascesa anche dopo che la crisi del debito, dalla fine degli anni Ottanta in poi, ha precluso ogni possibilità di concedere prestiti ai governi del Terzo Mondo.
Le banche occidentali, infatti, hanno cominciato a incoraggiare i ricchi del Terzo Mondo a depositare i loro risparmi nelle banche private, e a beneficiare maggiormente di tale operazione sono state le banche statunitensi.
Raymond Baker, un esperto di finanza del Brooking Institute, ha osservato che il lassismo degli Stati Uniti e l'inadeguatezza dei controlli hanno contribuito a fare del paese «il principale ricettacolo di denaro sporco del mondo».
Un'indagine del senato statunitense ha rivelato che 350 dei clienti della Citybank erano alti funzionali di governo o loro parenti, inclusi i successori di Suharto, Marcos e Mobutu:
Il presidente Ornar Bongo del Gabon, che trasferì cento milioni di dollari tramite conti personali in filiali della Citybank dì New York.
Bongo aveva due conti privati a nome di società prestanome e un conto speciale per ricevere pagamenti da compagnie petrolifere [...] La Citybank ha guadagnato più di un milione di dollari netti l'anno grazie ai conti di Bongo.
Asif Ali Zardari, che trasferì circa quaranta milioni di dollari tramite conti della Citybank, dieci dei quali si ritiene provenissero da tangenti ricevute per un contratto d'importazione di oro.
I tre figli del generale nigeriano Sani Abacha, che avevano circa centodieci milioni di dollari in conti della Citybank, inclusi alcuni conti intestati a società prestanome fondate dalla Citybank. La banca concesse a due figli del generale un prestito di trentanove milioni di dollari da depositare su un altro conto bancario in Svizzera dopo che il nuovo governo nigeriano, nel 1998, aveva cominciato a indagare sui casi di corruzione.
Raul Salinas, il fratello dell'ex presidente messicano Carlos Salinas, che, tra il 1992 e il 1994, portò fuori dal Messico dagli ottanta ai cento milioni di dollari, denaro presumibilmente ricavata, dal traffico di droga, tramite conti della Citybank.
Questa situazione presenta un chiaro rovesciamento della politica di Robin Hood di derubare i ricchi per dare ai poveri.
Non sono state solo le banche e i politici corrotti ad aver beneficiato delle opportunità criminali create dalla globalizzazione, come dimostra Robert Tillman nel suo Global Pirates: Fraud in the Offshore Insurance Industry.
Tillman ha tracciato la carriera di Alan Teale e quella di altri assicuratori operanti nell'ambito del sistema offshore.
Queste figure proliferano nell'attuale mondo della finanza privo di qualsiasi regolamentazione.
Qui i reati sono commessi «in una legale terra di nessuno dove la geografia ha perso la sua importanza». Teale era un cittadino britannico, descritto come «il tipico uomo in gessato grigio», la cui carriera era stata impeccabile fino a quando aveva scoperto una serie di opportunità nel mercato assicurativo americano dei cambi, negli anni Ottanta.
Nel 1984 Teale aveva abbastanza contatti per mettere su un'elaborata rete di compagnie assicurative, compagnie di assicurazione e imprese di mediazione che sarebbe stata usata per defraudare individui e società per milioni di dollari.
Una caratteristica essenziale di questa rete era che molte delle compagnie erano state costituite in paesi stranieri come il Belgio, le isole Turks e Caicos, l'Irlanda e le Bahamas per evitare le procedure di autorizzazione e controllo richieste alle compagnie assicurative americane.
Tali società erano amministrate secondo lo "schema Ponzi" che prevedeva di rendere contenti i primi clienti in modo da attrarne altri da defraudare.
Il denaro pagato dagli assicurati in premi assicurativi passava attraverso una serie di agenti di cambio, compagnie assicurative e compagnie di riassicurazioni offshore.
Ognuna di esse dirigeva altrove significative porzioni del premio originario e, alla fine, quando il denaro veniva rivendicato, non c'erano più fondi per pagare e tutti coloro che erano coinvolti nella catena assicurativa si accusavano a vicenda affermando di essere loro stessi delle vittime.
Se gli ispettori statali avessero chiuso una qualunque delle compagnie, Teale e i suoi alleati ne avrebbero semplicemente aperto di nuove con diversi nomi e avrebbero continuato a operare.
Come abbiamo visto nel primo capitolo parte prima, variazioni dei metodi adottati da Teale vengono ancora impiegati nell'industria assicurativa americana.
Teale e la schiera di truffatori che perfezionarono i suoi metodi riuscirono a nascondere le loro attività alle autorità statunitensi ubicando le loro compagnie in paesi che fornivano licenze di esercizio con grande facilità.
Tillman descrive il modo in cui una nuova generazione di criminali operanti nell'ambito delle offshore ha fatto un logico passo avanti, dando vita semplicemente a degli stati privati.
Una volta creati, sia che fossero aziende sulla terraferma, piattaforme nell'oceano o addirittura nello spazio, questi «stati», scrive Tillman, «possono non solo concedere licenze per l'apertura di compagnie assicurative ma anche fornire licenze a banche, emettere titoli, vendere passaporti, e perfino dichiarare guerra».
Uno di questi, il Dominion of Melchizedek (DOM), era formato da due rocce a 650 chilometri dalla costa della Colombia, ed era stato fondato nel 1990. Un funzionario americano descrisse le attività illecite del DOM come segue:
Creare una nazione sovrana fittizia fornisce numerose occasioni di intraprendere attività fraudolente. I più disparati tipi di frode, fino a qualche tempo fa solo immaginabili, sono ormai diventati possibili grazie al DOM. Un governo fittizio costituito da truffatori crea cittadini fittizi, rapporti diplomatici fittizi, ambasciate e uffici rappresentativi, emette passaporti, registra le imposte, concede licenze commerciali, crea un mercato dei titoli ecc., tutto fittiziamente. Tuttavia, ogni aspetto di questa operazione permette sostanziali entrate illegali.
Attraverso questo e molti altri modi, la deregolamentazione dei mercati ha creato numerose opportunità per i criminali, opportunità limitate dalla sola immaginazione dei delinquenti. (da www.controcorrentesatirica.com)