Super Elastic Bubble Plastic @ Groove Live Music Pub, Potenza Picena (MC) – 14.02.09
17/02/2009 - Leggiamo del concerto. Questa sera. Come andiamo? I treni non arrivano a Potenza Picena che è appena un paese sopravvissuto al Medioevo. I pullman neanche a dirlo. La Uno di suo zio è l’unica. La mia Panda non la ho qui. La sua Yaris è giusto giusto in Portogallo. E allora la Uno. Rotta e devastata dalle molestie dei meccanici più rinomati. In teoria, a detta loro, più di quindici chilometri non potremmo farci perché senò muore. Per accenderla devi fare dei movimenti molto tecnici, e tecnicamente devi anche bestemmiare molto. Così poi parte, ma non devi mai lasciare l’acceleratore, tenerlo sempre un po’ premuto, altrimenti si spegne e poi devi ricominciare a bestemmiare. Prepariamo uno zaino con birra e sacco a pello nel caso la macchina col freddo bastardo non si accendesse la notte. E partiamo. Quaranta chilometri di strade contorte semideserte di campagna isolate peggio di Frittole. Arrivati quello che ci accoglie è un paese pieno di scalette ripide e mura medievali. Un freddo bastardo. Beviamo, ci cibiamo. Alle undici raggiungiamo il locale, un posto fuoriluogo, pieno di gente fuoriluogo, con dj set fuoriluogo. O semplicemente i fuoriluogo siamo noi, che senza melanconismi letterari ci troviamo in mezzo a ragazzi con pantaloni bianchi, gel a palate, scarpette domenicali e i peggio abiti da cerimonia che il sabato sera ricacci fuori neanche fossi la Madama. Ma non era un posto indie alternativo vintage rock elettro? Un music pub di quelli un minimo all’avanguardia di quelli che mancano in questa regione di morti? I Super Elastic Bubble Plastic si fanno aspettare. Dubito che in molti li conoscano, ed infatti appena aperto il telo del palco giovanotti e giovanotte si accoppiano in prima fila, e si fanno inaspettatamente fottere da un rumore pesantissimo che non si aspettavano. Il posto è un buco e l’acustica è indubbiamente troppo forte. I tre partono. Potentissimi. I primi pezzi sono tutti di “Chances”. Coordinati, tecnicamente perfetti, con passaggi strumentali molto profondi, delle bombe di intensa energia musicale ed emotiva. Alessio Capra alla batteria è un animale. La birra che gli è a terra di fianco rimane piena dall’inizio alla fine del concerto. Concentrato. Sguardo basso e t-shirt che è un pozzo di sudore. I brani si susseguono, da “Fake Queen” a “Lovers Heart”, delle bombe che si perdono nel rumore generale di un suono che riempie per osmosi tutto in modo confuso. Batteria che praticamente è in assolo. La chitarra di Gionata talvolta fatica a percepirsi, così come la sua voce, troppo debole e coperta dai bassi di Morandini, vibranti fino ad essere fastidiosi. E poi ripescaggi del passato: “My Emo Friend”, “Wake Up” o “Self Made Popsong”. Pezzi che si susseguono come un treno, senza sosta, senza teatro. Pochi scherzi tra loro, pochi con il pubblico, che continua a ciondolare la testa con quel tipico andirivieni, interessato fino al punto che qualcuno alla fine comprerà addirittura il disco. La sensazione è che i SEBP in occasioni live meno strette spaccherebbero molto di più. Violenza, forza e vibrazioni qui ci sono tutte, ma vengono trattenute da un palco che è una gabbia in cui i tre non hanno altro modo di muoversi che restando nel loro metro quadrato imbrigliati tra cavi ed amplificatori. Il sudore è trattenuto sulle facce. Le energie esplodono, e questo si percepisce, ma è un posto che non è adatto a simili esplosioni noise. Finito il concerto le sbarbine truccate di rimmel e amarezze tornano a casa, coi garzoni più truzzi e cool, che a loro volta si fanaticheranno il giorno dopo dicendo di aver passato una nottata trasgressiva al punto di aver ascoltato un gruppo rock alternativo. Tutto qui è indisposto alla musica. Posti, gente, passioni. Se l’interesse per la musica fosse appena un quarto di quello che i ragazzi marchigiani dedicano ad un cerchione d’automobile sarebbe tutto più facile anche per i SEBP, gruppo fuoriluogo come la Uno sgangherata di suo zio in questo parcheggio di lamiere acchittate.
|