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Tim Rutili (voce, chitarre, tastiere, loop) |
Califone @ Sintetika, Firenze – 07.02.07
I Califone sono uno dei segreti meglio custoditi dell’underground americano. Un segreto pregno di certo folk arso nel vivo, certa terra bruciata, di quello straniamento, quella psichedelia mai doma, anzi imperterrita, che si inerpica in un circolo senza fine, attenta a non tornare indietro. Non so se qualcuno l’ha già chiamato così, ma l’etichetta ci sta tutta: post-folk. E assistere al concerto post-folk dei Califone è un’esperienza da non perdere. Perché Tim Rutili e soci accompagnano la tradizione americana fatta di frontiere sterminate e di devils & dust, per citare uno Springsteen recente, con le improvvisazioni e il gusto dell’invenzione tipici del free jazz. Si immagini che l’America rallenti e guardi al suo passato con un piglio poco rassicurante. Lo show è un susseguirsi di ballate dal sapore di polvere, vuoi per il banjo che miagola sullo sfondo, vuoi per la stessa voce di Rutili, appunto polverosa ed evanescente, che sussurra parole che potrebbero anche non esserci, interessata com’è più al suono che al significato. Tim Rutili è uno con una storia alle spalle, non si è inventato portavoce dell’artigianato indie l’altroieri. Se nomi come Loftus, Drumhead e soprattutto Red Red Meat vi sono familiari, sapete di cosa sto parlando. Con i Califone la tradizione del Delta è resa modernissima e diventa una delle migliori rappresentazioni dell’american sound del XXI secolo, eppure l’operazione è indolore, come dire: si va nel futuro pensando di essere ancora al tempo dei nostri bisnonni. Pezzi dall’immancabile coda psichedelica, rumorosa o narcotica a seconda dei casi, scuotono il pubblico, tra rintocchi di campane e un Roland impegnato a creare il suono della desolazione dialogando con la chitarra che spesso inacidisce in impasti younghiani che chiamano a raccolta un esercito di spettri. E così Black Metal Valentine, ipnotica ballata dell’ultimo “Roots and Crowns”, diventa dal vivo un mantra di infinito dolore e incantevole abbandono. Il momento della pace arriva con la bellezza rurale della cover degli Psychic TV, The Orchids, entrata ormai stabilmente nel repertorio dei Califone. Dopo due ore di concerto, la polvere la puoi quasi toccare e il segreto di questa piccola grande band di Chicago decidi di non rivelarlo a nessuno, perché a volte il bello dei segreti è che rimangano tali.
«It’s a lot of me just trying to write without thinking and without tying to manipulate a song into having meaning. I think meaning is something that’s really unnecessary in music, at least for me.» (Tim Rutili)
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Pierluigi Lucadei
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Recensioni |
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il 10 Feb 2007 alle 19:51 |
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