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Catania, 2 febbraio: follia fuori dallo stadio

Chi ferma i barbari

(da repubblica.it)
Il calcio si ferma ed è il minimo che possa fare, perché a Catania s'è fermato il cuore di un uomo, un poliziotto. Il suo lavoro era evitare scontri tra i tifosi del Catania e quelli del Palermo. Uno di loro l'ha ammazzato con una bomba carta, non si sa il colore della sua bandiera e non ha importanza. Il derby siciliano era stato anticipato a ieri pomeriggio per motivi legati all'ordine pubblico, questo il tragico paradosso. Per evitare che si sovrapponesse ai festeggiamenti di Sant'Agata, patrona della città. Città ugualmente in stato d'assedio. I pullman dei tifosi palermitani sono arrivati allo stadio a secondo tempo iniziato. Era stato studiato un percorso alternativo per schivare eventuali imboscate.
La partita è stata sospesa per 40' per lancio di fumogeni, razzi, lacrimogeni, poi è ripresa (sempre per motivi di ordine pubblico, per scongiurare scontri). Le immagini di guerriglia sono continuate, sui teleschermi, ben oltre la fine della partita. Nel solito rituale del dopopartita, il solito scaricabarile: per i dirigenti del Catania è tutta colpa dei palermitani, per quelli del Palermo tutta colpa dei catanesi. Scosso ma lucido, Guidolin continuava a ripetere "così non può durare" (e non sapeva ancora del morto) e intanto raccontava storie di piccola follia che in Italia, da troppo tempo, si considerano normali. L'albergo presidiato da decine di agenti, come in zona di guerra, il pullman della squadra accolto da lanci di bottiglie, uova, arance.
"Ora basta", ha detto Pancalli. Va bene, capisco lo sgomento di un uomo di sport che ha scoperto l'abisso d'inciviltà che separa il calcio italiano dagli altri sport. Gli stadi sono luoghi pericolosi che troppi scambiano per zona franca, vi si respira la polvere sottile dell'odio, della violenza verbale che può diventare fisica, dell'aggressione come gioco di gruppo o di branco. Non è più accettabile che un gioco, sia pure vissuto con passione, comporti scene da guerriglia urbana. Sabato scorso in Calabria due calciatori hanno ammazzato a calci un dirigente che faceva da paciere. Ieri a Catania un poliziotto ci ha lasciato la pelle. Sarà bene smetterla di pensare agli stadi del 2012 e occuparsi molto in fretta e sul serio di quelli attuali e dei barbari che li frequentano. Sarà bene evitare, per un po', di intonare il ritornello delle famiglie da riportare negli stadi. A fare che? E anche quello degli stadi che si svuotano: è giusto, visto che sono tra i più rischiosi e nonostante questo più cari d'Europa. Negli stadi ci va solo chi vuol farsi vedere allo stadio perché porta voti, i politici con le loro scorte, e la carne da curva: manovrabile, affittabile, multiuso.
Non tutte le curve e non tutti gli stadi sono uguali, ma quella cultura sportiva che s'invoca come antiveleno è tragicamente latitante, è questa cultura la vera diffidata a entrare in uno stadio. Discutiamo su chi dovrebbe fornirla alle giovani generazioni: la famiglie, la scuola, i mezzi d'informazione, tutti quanti insieme? Ma non nascondiamoci le realtà esterne: la fredda Inghilterra, la calda Spagna, i loro stadi dove pure è importante vincere o perdere, ma tra il prato e il pubblico c'è un muretto di mezzo metro. Dice: ma in Inghilterra per tamponare gli hooligan si sono varate leggi adatte. Bene, si facciano anche qui, pure se in molti casi basterebbe applicare quelle già esistenti. In Inghilterra una squadra retrocede e i suoi tifosi l'applaudono. Qui perfino a Parma aggrediscono i giocatori e gli sfasciano la macchina. Si facciano anche qui e alla svelta, è triste ma non casuale che il paese che nel calcio è campione del mondo debba ritrovarsi a piangere morti, a fare minuti di silenzio sviliti dagli applausi, a contare feriti come fosse in guerra. In guerra è come ci fossero, e non da ieri, da troppi anni, quelli che hanno una divisa e rappresentano uno Stato, mandati per quattro soldi a controllare la demenza di gente che quello Stato dileggia, non solo le minime regole di convivenza civile, e più è impunita più si fa forza.
Tornerà forse un giorno il calcio, e la domenica della brava gente. È difficile dirlo, dopo ore di fiamme, elicotteri in volo nel fumo, sassaiole, ospedali che traboccano, feriti e un morto. Poteva succedere di tutto e si diceva: meno male che non c'è scappato il morto. Ma il morto c'è, e ora non cosa farsene di tante parole e onoranze e interpellanze. Avrebbe preferito continuare a vivere con la sua famiglia. Tornerà, ma basta coi passamontagna calati, basta confondere le armerie con la coreaografia e la violenza col colore locale, basta cercare la differenza tra tifosi che delinquono e delinquenti che tifano, basta indulgenze con gli arruffapopoli. Siamo oltre il livello di guardia, ormai è chiaro che la legge Pisanu è meno di un pannicello caldo. Faccia la sua parte lo Stato, ma anche il calcio. Si dia un codice di comportamento rigoroso per quel che riguarda parole e gesti, chi lo rispetta sta dentro, chi non lo rispetta è sbattuto fuori. Stiamo parlando di un cancro, non di un raffreddore di stagione.

Gianni Mura





  

Primo Piano

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