Vanni Santoni “Gli interessi in comune”
Vanni Santoni scrive un romanzo di formazione che racconta dieci anni di vita sballi e scazzi di giovani qualunque della provincia toscana.
Questo libro racconta anni estremi, disperati ma consapevoli, bruciati nel niente che si raccoglie dietro il sipario di luci e colori. Racconta persone perse, e tra loro poco più che ignote, unite da un’amicizia che ora pare autentica e ora effimera, retta soltanto dagli interessi in comune: le droghe. Santoni descrive con lucidità le gesta dei suoi antieroi, senza scadere nel giovanilismo o nel maledettismo. E per un libro del genere il rischio era reale. Santoni ai suoi personaggi lascia spazio, li fa vagare per le strade che dal Valdarno portano a Firenze e ritorno e poi su fino a Pistoia o Viareggio, fino ad Amsterdam fino a Berlino, li fa perdere senza ritrovarsi, ma allo stesso tempo riesce a tenerli perfettamente in pugno, da bravo burattinaio non li molla e li riporta al punto di partenza, come se il loro percorso durato dieci anni non fosse servito che a lasciarli nel medesimo agghiacciante nulla dal quale tentavano di affrancarsi. Iacopo, il Malpa, il Dimpe e gli altri protagonisti sono ragazzi che non si fanno mancare i drammi e le storiacce di deriva che la droga porta con sé, ma neanche i momenti di puro spasso, e tra francobolli di acido e pastiglie di ecstasy, il libro concede passaggi decisamente comici. “Gli interessi in comune” è un romanzo di (de)formazione che si legge d’un fiato, articolato in brevi capitoli ognuno intitolato col nome di una sostanza, con un manifesto che specchia una generazione con le sue ansie ovvie, le sue ossessioni private e le sue pubbliche cazzate. «Per noi che pensiamo di poter fare gli artisti senza esserci mai fatti i viaggi, e per noi che siccome ci siamo fatti i viaggi c’illudiamo d’essere artisti.»
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