Repubblica Democratica del Congo: lo stupro come arma di guerra nel Nord Kivu
(Fonte: MSF) Nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), lo stupro fa parte della realtà quotidiana per le donne che vivono nella provincia del Nord Kivu, dove la violenza regna da diversi anni. Nel corso del 2005, le nostre equipe hanno ricoverato la spaventosa cifra di 1292 donne vittime di violenza sessuale, e altrettante durante i primi mesi del 2006. Queste cifre sono inquietanti, e tuttavia non riflettono che una minima parte della realtà di questa regione orientale del Congo. Malia Saim, responsabile delle operazioni per la RDC, spiega l’intervento di MSF per affrontare questo problema.
Come spieghi le dimensioni del fenomeno della violenza sessuale nella provincia del Nord Kivu? La violenza sessuale è radicata nel contesto generale della violenza perpetrata dai diversi gruppi armati presenti in questa regione. Questa violenza prende diverse forme: stupro, ma anche razzie, crimini, e lotte armate per il controllo dei villaggi e delle strade. In questo ambiente, dove i gruppi armati molestano continuamente la popolazione, le donne sono particolarmente a rischio. Più di tre quarti delle donne che abbiamo curato sono state stuprate da soldati armati non identificati. Nella regione orientale della RDC, se da un lato lo stupro è impresso nel quadro generale di violenza, è altresì considerato quale una legittima “retribuzione aggiuntiva” per i gruppi in conflitto. Lo stupro è usato come un mezzo per terrorizzare la popolazione, e il numero di casi aumenta con ogni nuovo scoppio di combattimenti e attacchi. Se le giovani sotto i 18 anni sono particolarmente esposte (quasi il 40% dei casi), il gruppo più colpito è quello delle donne tra i 19 e i 45 anni (53,6%). Queste sono le donne che lavorano nei campi per potere mantenere le loro famiglie. Gli atti di aggressione contro di loro hanno luogo principalmente in campi isolati ma anche lungo le strade percorse per arrivarvi. Di conseguenza, le donne limitano i loro spostamenti e nei centri nutrizionali nella missione di Kayna le madri preferiscono alloggiare nelle immediate vicinanze invece di tornare ogni settimana per prendere le razioni per i loro bambini. Qual è la risposta di Medici Senza Frontiere di fronte a questa violenza? A livello operativo, dobbiamo adottare un approccio trasversale e cercare di offrire cure specifiche in maniera sistematica in tutti i nostri programmi sanitari (sia di primo, sia di secondo livello) con l’intento di garantire due principi di base: la confidenzialità dell’intervento e la gratuità delle cure. Anzitutto, è essenziale lavorare con gli attori locali, cioè i gruppi comunitari e le strutture esistenti, al fine di aumentare la consapevolezza del problema. Nella presa in carico delle pazienti è essenziale che ci sia una visita medica entro 72 ore dallo stupro. In questo lasso di tempo è infatti possibile somministrare alla donna una profilassi antiretrovirale, che la rende meno predisposta a un’infezione HIV. Poi, entro i primi cinque giorni, si può offrire la pillola del giorno dopo per evitare gravidanze indesiderate, che innescano normalmente una serie di tragedie e di abbandoni a carico delle donne e dei bambini. Il trattamento medico prevede inoltre la terapia antibiotica preventiva contro le infezioni sessualmente trasmissibili più frequenti (sifilide, gonorrea e clamidia), e la vaccinazione contro il tetano e l’epatite B. Inoltre sono naturalmente curati i traumi fisici, le lesioni e le ferite. Bisogna garantire che l’evoluzione sia monitorata e la durata totale delle cure mediche è di almeno 6 mesi. È poi essenziale identificare fin dal primo momento in che modo possa avere luogo un’interruzione volontaria di gravidanza. A livello legale e per esigenze di protezione, un certificato medico che certifichi lo stupro viene sistematicamente redatto e offerto alla paziente. Nel corso del 2005, nei nostri progetti nel nord Kivu, il 17% delle donne ha accettato il certificato medico e il 21% ha denunciato l’aggressione alle autorità locali. Qual è la tua valutazione delle nostre attività? Nel corso del 2004 avevamo curato 270 vittime di stupro in un anno nel nord Kivu - oggi questa cifra corrisponde al numero di casi che riceviamo in media in un mese. Il numero totale degli stupri non sembra cresciuto - invece, è migliorato l'accesso alle cure. Il messaggio delle cure possibili comincia a essere diffuso dappertutto. La percentuale di casi curati entro le 72 ore dallo stupro sta chiaramente aumentando, giungendo al 47% in alcuni progetti, come a Rutshuru. Tuttavia, diversi aspetti devono ancora essere migliorati e diverse questioni restano aperte: se effettuare un test HIV prima di dare una profilassi antiretrovirale; come affrontare la sofferenza psicologica all'interno della cura medica; i limiti che vanno applicati per quanto riguarda le procedure legali. E poco ancora si può fare, se non contribuire alla comprensione del fenomeno, per limitare l'uso dello stupro come arma di guerra contro la popolazione civile, se non pretendere valide misure di protezione da parte di chi ha il dovere di garantirle, a livello locale e internazionale. Infine, resta irrisolta la questione dell'interruzione volontaria di gravidanza a seguito di violenza sessuale in un paese come la DRC che la vieta e che vieta anche l'importazione e l'utilizzo della pillola abortiva.
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