The Gaslight Anthem - "The '59 Sound"
di Claudio Palestini Ci deve essere una strana aria in quella terra misteriosa ed affascinante che appoggia i suoi lembi tristi ma orgogliosi sull'Oceano Atlantico. Il New Jersey, ovviamente, l'altra sponda del fiume per eccellenza. Terra di autostrade e di fabbriche, terra di sogni infranti, terra che ammicca alla vicina New York con lo sguardo fiero e profondamente americano ma che vede nel suo provincialismo e nella sua decadenza i segni evidenti del declino. Ci sono stato in pellegrinaggio, qualche anno fa, in New Jersey. A prendere una birra tra lo Stone Pony ed il Wonder Bar sulla costa di Asbury Park. A respirare la stessa aria che hanno respirato per anni gente come Bruce Springsteen e Southside Johnny. Avrei dovuto aprire bene i polmoni e respirare. Respirare forte. Che non si sa mai, da quelle parti, tra tanta buona musica e altrettanta grande letteratura venute fuori negli ultimi trent'anni e che ancora oggi rappresentano il vero cuore d'America. Con i mostri sacri Springsteen, Bon Jovi e Patti Smith da un lato e Philip Roth dall'altro, e con i più o meno noti Pete Yorn, My Chemical Romance, Blues Traveler da un lato e gli scrittori Rick Moody e Richard Ford dall'altro a mettersi in mostra tra la nuova generazione di artisti made in USA. Vengono proprio dal New Jersey i Gaslight Anthem, che con il loro "The '59 Sound" si sono proposti come autori di uno dei migliori blue collar rock dell'anno 2008. Secondo album in studio, "The '59 Sound" si presenta come una miscela di punk rock e soul, continuando nel solco della tradizione dettata dagli ormai navigati The Hold Steady e Kings of Leon. Rispetto e fascino per la tradizione, sguardo cosciente e attento sul mondo, lampi di quel romanticismo post industriale tanto caro al Boss, senza dubbio principale fonte di ispirazione per Brian Fallon e soci. "Great Expectation" apre il disco con una Mary this station is playing every sad song che sembra rubata direttamente da Thunder Road ma che musicalmente deve tantissimo a Joe Strummer ed al punk inglese anni 70. La titletrack "The '59 Sound" si apre con un giro rockeggiante di Telecaster per poi esplodere in un riff martellante che non può non far pensare a Born to Run. "Old White Lincoln" è un rock ritmato, leggero ma intenso che non faticherà certo ad entrare nel cervello di chi la ascolta. "High Lonesome" è una dichiarazione di intenti: ci sono le auto, c'è una Marie che viene da Nashville con una valigia in mano, c'è un protagonista che si atteggia come Elvis, ci sono lenzuola bagnate di desiderio, versi rubati ai Counting Crows, versi rubati al Boss. C'è tutto il mondo dei Gaslight Anthem, che non si vergognano a citare in modo spudorato i loro miti adolescenziali, mettendo su disco tutto il loro immaginario, frasi, note e situazioni che sono un po' la carta d'identità della loro generazione. A "Film Noir" e "Miles Davis & The Cool" spetta il compito di abbassare il ritmo, senza mai dimenticare di piazzare il colpo decisivo e furbacchione con i loro ritornelli orecchiabili e azzeccati. "The Patient Ferris Wheel" rimanda a Willie Nile, a Jesse Malin e a tutto il punk rock newyorkese se non fosse che Brian Fallon dimostra di avere una voce anche più matura, tanto che non sarà difficile ritrovarsi senza volerlo a cantare a squarciagola I've never felt so strange Standing in the Jersey rain. "Casanova, Baby!" e "Even Cowgirls Get The Blues" mostrano le loro radici country roots, esplodendo poi un rock senza compromessi. "Meet Me By The River's Edge" è l'ennesimo omaggio al Bruce di Born to Run, Darkness on the Edge of Town e Born in the USA, sin dal titolo e dal ritmo, passando poi alla voce ed al testo, mai così esplicito (We tattooed lines beneath our skin. No surrender, my Bobby Jean). "Here's Looking At You, Kid" è romantica e profonda, un po' The National, un po' Dylan, con il testo che cola d'amore, di stelle, di ragazze, che partendo da una frase del film Casablanca approda dritto a Brooklyn per narrare le difficoltà di una separazione. "The backseats" è una fucilata, un rock diretto e potente che rimanda al tema delle automobili, dei destini incontrati quasi per caso lungo strade polverose, tra errori, sbagli e pentimenti, tema tanto caro al New Jersey, tanto caro al rock. Un rock che forse non aggiunge niente ma di cui si sente sempre un gran bisogno. Un rock sincero e viscerale, romantico e rabbioso. Fatto finalmente da ragazzi, da una generazione che ha visto sgretolarsi tutti i sogni, ma non quello eterno ed immortale del rock.
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