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Marti "Unmade Beds" (Green Fog, 2006) |
Novità dal mondo indie: Sodastream e Marti
Questo mese presentiamo due novità interessanti che ben si addicono con l’umore spesso brumoso e grigio di molte giornate autunnali. Da un lato il quarto lavoro dei Sodastream, definiti da Pitchforkmedia la band australiana più importante dai tempi dei Go-Betweens; dall’altro l’esordio dei Marti, affascinante creatura nata nel 2001 per volontà di Andrea Bruschi, nome noto anche a livello internazionale per aver partecipato in veste di attore a numerosi film (Il partigiano Johnny, Lavorare con lentezza).
Sodastream “Reservations”
Etichetta: Homesleep Brani: Warm July / Anti / Twin Lakes / Tickets To The Flight / Anniversary / Michelle’s Cabin / Firelines / Reservations / Don’t Make A Scene / Young And Able
Tornano Karl Smith e Pete Cohen, i due musicisti australiani che si celano dietro il nome Sodastream, amati, oltre che da Pitchfork, anche dal pubblico italiano che li segue con attenzione sin dai loro esordi. Il nuovo “Reservations” si apre con la splendida Warm July, forse il pezzo migliore della raccolta, che inizia con versi che non lasciano spazio a dubbi («it’s already too late to bring you flowers/it’s already too late to tie these ends»). Siamo dalle parti di quelle storie in procinto di spezzarsi, giusto un attimo prima della conclusione, quando si è ancora in tempo di voltarsi e andarsene consegnando poche ma decise parole come testamento («so lay me down by the river/and bury my head in the naked flames/burn me up and create another/someone to take the weight and bring peace of mind»). I riferimenti sono quelli noti: nel piano e nel violoncello di Anniversary, nei toni bucolici di Anti, nei versi delusi e tristi di Twin Lakes («tearing down the beautiful things you say to me/to make me feel ok/I took too much/now there’s nothing left to celebrate») si sentono echi di Belle & Sebastian, Hefner, Kings Of Convenience. Tutto è sussurrato nella musica dei Sodastream, tutto è suonato in punta di plettro, tutto sembra immobile, eppure è in grado di evocare brividi. Esempio paradigmatico è la conclusiva Young And Able, capace di far piegare le ginocchia dal dolore e di far gridare al miracolo, se non avesse qualche accordo di troppo preso in prestito da Place To Be di Nick Drake. Un disco sincero, che non deluderà gli amanti delle sonorità acustiche. Il precedente “A Minor Revival” aveva lasciato intravedere il lato più pop dei Sodastream, stavolta Karl e Pete hanno deciso di privilegiare l’introspezione e di farci sapere quanto possa essere malinconico l’inverno a Melbourne.
Marti “Unmade Beds”
Etichetta: Green Fog / Venus Brani: God’s Thick Gold Wrist Watch / Buying Things From Your Past / September In The Rain / No Sundays / Coming From / Sad Girlfriend / Walkout Of This Club With Me / Bring Me The Head Of / Rose / Privilege / They’re So Small / If You Could See Me Now
Ecco un debutto dal fascino oscuro, una sorpresa oltremodo piacevole proveniente dal nostro sottobosco indipendente. In realtà “Unmade Beds” è un prodotto di respiro internazionale, con sonorità che rimandano chiaramente al rock britannico di venti e più anni fa. Marti è dark, è dandy, è, soprattutto, un gran bell’esperimento new wave. Le fascinazioni chiare sin da subito sono per gli anni Ottanta più oscuri (Tuxedomoon, Depeche Mode, Bauhaus), ma ad un attento ascolto non possono sfuggire riferimenti ad alcuni dei migliori romantici d’Oltremanica degli ultimi due lustri (Tindersticks, Cousteau), senza dimenticare Nick Cave, al quale Andrea Bruschi sembra ispirarsi non poco, come lasciano intuire gli scatti caveiani presenti nel booklet. Tutte le dodici canzoni sono cantate in inglese e si pongono qualitativamente al di sopra della media nazionale. Melodie ora stranianti (Coming From) ora cinematografiche (Privilege) portano con sé brividi, dolore e alcuni ritornelli che restano nelle orecchie da subito («it’s always the same/I’m spending my september in the rain/alone again/I’m spending my september in the rain» da September In The Rain). A fare la differenza sono innanzitutto gli arrangiamenti scintillanti dei sempre più affiatati Andrea Franchi e Paolo Benvegnù; poi la voce evocativa e magnetica di Andrea Bruschi, a metà strada tra quelle di Dave Gahan e di Liam McKahey. Giunti alla fine del disco, nonostante gli arrangiamenti caldi, nonostante le sonorità morbide e avvolgenti, l’album non riesce a togliere di dosso all’ascoltatore una sensazione – piacevole, beninteso – di precisione e glacialità molto, molto new wave. Prova ne è il singolo Buying Things From Your Past, col suo ritmo incalzante e un testo («buying things from your past/can make me a better man/a better man/I guess») che lascia trapelare qualcosa di morboso e sinistro.
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Pierluigi Lucadei
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Recensioni |
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il 03 Nov 2006 alle 19:28 |
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