di Dr. Vincenzo Luciani*
“Il maltrattamento è comprensivo di tutte le forme di abuso fisico e/o psico-emozionale, di abuso sessuale, di trascuratezza, o di trattamento negligente, di sfruttamento commerciale o assenza di azioni e cure con conseguente danno reale, potenziale od evolutivo alla salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del minore nel contesto di un rapporto di responsabilità o di potere” (Organizzazione Mondiale della Sanità -1999).
La violenza, non solo quella verso i minori, è da sempre una fedele compagna dell’uomo. Certo, assieme ad essa convivono anche i tratti nobili della natura umana: l’amore, l’amicizia, la solidarietà, ecc… ma è un fatto che nell’uomo alberghi anche una temibile aggressività. Nel corso del tempo essa è stata arginata ma mai debellata, continuando a sopravvivere attraverso nuove metamorfosi: il turismo sessuale, la pedofilia via internet, l’utilizzo dei bambini per il traffico d’organi, i bambini guerrieri, il coinvolgimento dei minori nelle sette, ecc…
Essa fa capolino in tutte le relazioni umane caratterizzate da una forte asimmetria, cioè in tutte le relazioni in cui c’è un forte squilibrio di potere. E’ a causa di questa asimmetria presente all’interno della relazione adulto-bambino che quest’ultimo, con una certa frequenza, è fatto oggetto di violenza. In particolare: il maltrattamento fisico, il maltrattamento psicologico, l’abuso sessuale, l’incuria, la discuria, l’ipercura, la violenza assistita.
Ma a queste forme di violenza se ne possono aggiungere altre non meno importanti, e non meno frequenti, che magari riguardano le asimmetrie che si producono nel rapporto tra coetanei, come nel caso del bullismo e del mobbing. In tutte le civiltà i bambini sono stati oggetto di minacce da parte degli adulti, anche di quelli per lui più significativi come i genitori. Questo atteggiamento è derivato dalla concezione che per secoli si è avuta del bambino: quella di un essere pericoloso, un essere da tenere sotto scacco. Il bambino è stato pensato come una sorta di animaletto da modellare, senza parola e senza intelletto - e per alcuni anche senza anima -, da correggere, anche e soprattutto, attraverso punizioni corporali. Questa concezione così negativa nasceva dal fatto che, per la sua impotenza costituzionale e la dipendenza dagli adulti, il bambino costituiva il ricettacolo perfetto per accogliere le negatività presenti negli adulti, alleggerendoli così delle proprie contraddizioni. L’adulto si appoggiava su una sorta di pedagogia ante litteram per giustificare ogni forma di ritorsione verso l’infanzia. Per molto tempo i bambini non sono stati considerati né soggetti di fatto, né tanto meno di diritto. C’è stato un lunghissimo periodo storico caratterizzato da una scarsissima attenzione, verso gli aspetti psicologici propri dell’infanzia. Basti pensare al fenomeno del baliatico, al numero incredibile di infanticidi, di bambini abbandonati, ecc…
Sono stati necessari secoli affinché nascesse un sentimento nuovo verso l’infanzia, un sentimento capace di trasformare il bambino da oggetto a soggetto, cioè in una persona.
La prima grande svolta si è avuta con l’avvento del Cristianesimo e il suo esplicito riferimento all’amore e alla cura del bambino.
Un sentimento inedito verso l’infanzia si coagula ulteriormente assumendo un forte valore sociale e culturale tra il Settecento e l’Ottocento, grazie alla nascita ed al consolidarsi delle scienze pedagogiche, psicologiche, mediche e sociali.
E’ in questo momento che lentamente si fa strada nella cultura e nelle istituzioni, per la prima volta in modo sistematico, l’importanza della relazione genitori-figli come fattore capace di promuovere un adeguato sviluppo psico-fisico. L’adulto non può più disporre del bambino a proprio piacimento, non ha più alibi che possano giustificare la violenza sui minori.
Determinante, nel favorire questa nuova visione sull’infanzia è stata anche la diffusione massiccia della penicillina, negli anni Quaranta del secolo scorso (scoperta da Fleming nel 1929) che riducendo drasticamente la mortalità infantile ha fatto sì che i genitori potessero “attaccarsi” psicologicamente ai figli sin dalla nascita, cosa che precedentemente accadeva, invece, solo quando si era sufficientemente certi che il bambino sarebbe sopravvissuto. Prima della scoperta della penicillina la mortalità infantile era, infatti, altissima.
Il bambino ora non è più visto come una creatura da sottomettere al volere degli adulti bensì come un essere competente sin dalla nascita con il quale interagire sul piano cognitivo ed affettivo. Non si tratta più di modellarlo ma di co-costruire con lui le sue potenzialità cognitive ed affettive, la sua personalità. Tuttavia l’importanza del rapporto genitori-figli non è stata una conquista acquisita una volta per tutte, ma al contrario rimane qualche cosa che deve essere fatta nuovamente propria da ogni genitore e da ogni adulto che entra in rapporto con i minori.
Dunque oggi sappiamo che un buon rapporto genitori e figli è essenziale per il bambino, ma a priori non c’è alcuna garanzia che funzioni come dovrebbe.
E’ bene ricordare anche che la riscoperta del fenomeno dei maltrattamenti sui bambini, nella sua portata di forte emergenza sociale del nostro tempo, è un fatto relativamente recente. Nel nostro paese questa presa di coscienza sociale si è prodotta negli ultimi venti-trenta anni ed è correlativa alla nascita di alcuni centri: quello di Neuropsichiatria Infantile presso l’Ospedale ‘Bambin Gesù’ a Roma, quello per L’ Aiuto al Bambino Maltrattato di Milano, il Telefono Azzurro, ecc....
E’ stato necessario così tanto tempo perché, come è facile immaginare, la sofferenza dei bambini non ha voce, se non c’è un adulto disposto ad ascoltarla. In un certo senso quello del maltrattamento è sempre stato un fenomeno che la società ha voluto rimuovere, come se risultasse impensabile e incompatibile con una società apparentemente così emancipata come la nostra.
Ma alla fine non è stato più possibile non accorgersi che nel nostro mondo occidentale, così come in altre culture, il bambino continuava, e continua, ad essere considerato non come un soggetto ma come una ‘cosa’ a disposizione del godimento sessuale o della violenza degli adulti. Fenomeno che riguarda trasversalmente tutte le classi sociali, nessuna esclusa. Anche se è vero che esso è più visibile nelle famiglie meno abbienti, più emarginate, con più problemi, ma solo perché queste vengono più spesso in contatto con i servizi sociali, socio-sanitari, le forze dell’ordine.
Fare una corretta analisi quantitativa della violenza sui minori risulta un’operazione impossibile sia per la peculiarità del fenomeno, sia per la carenza di ricerche specificamente rivolte a questo tipo di problemi. Sostanzialmente gli studi effettuati sia in Italia che in Europa indicano che la violenza verso i minori riguarda cinque- sei bambini su mille.
Tuttavia credo possa essere utile fare riferimento al 7° Rapporto Nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza elaborato da Eurispes-Telefono Azzurro (dicembre 2006). Dall’analisi dei dati dei diciannove anni di lavoro del Centro Nazionale di Ascolto Telefonico risulta che più del 35% delle chiamate concernono i minori. I motivi delle consulenze hanno riguardato: per il 12,8% l’abuso fisico; per il 9% l’abuso psicologico; per l’8,1 % le condizioni di trascuratezza; per il 5,5 % gli abusi sessuali.
La cosa ancora più sorprendente è che tutte queste forme di violenza prendono corpo soprattutto all’interno della famiglia. I maltrattamenti familiari sono di gran lunga più frequenti rispetto a quelli extrafamiliari. La loro percentuale è di circa il 70-80% del totale dei maltrattamenti portati sui minori. Siamo dinanzi ad una vera e propria perversione del rapporto genitori-figli, perché i genitori, sorprendentemente, invece di portare sui figli quella che Freud chiamava ‘corrente di tenerezza’ vi portano la ‘corrente sensuale’ e l’aggressività. Se ogni tipo di violenza sui minori è nociva ancor di più lo è quella portata dai genitori e dai familiari. In questo caso i bambini oltre a subire la violenza non possono neppure permettersi di riconoscere nel loro abusante un nemico, un avversario, perché spesso l’abusante è una figura di riferimento importantissima.
Questi bambini sono costretti a negare l’evidenza facendosi carico, inconsciamente, di ciò che vivono, assumendosene loro stessi la responsabilità, perché non possono permettersi di distruggere le proprie figure genitoriali del cui amore non possono comunque fare a meno.
Gli effetti della violenza sono legati ad una serie di variabili di cui quelle più significative sono: il tipo di violenza subita, chi la mette in atto, la reiterazione della stessa nel corso degli anni, l’età avuta al momento dell’inizio della violenza subita, lo stile di coping (la capacità di fronteggiarla psicologicamente) proprio di ciascun bambino, il tempo trascorso prima di essere sottratti alla violenza, il sostegno ricevuto a partire dal momento in cui è emerso il presunto abuso.
A seconda della combinazioni di queste variabili si hanno quadri sintomatologici anche molto diversi. E’ bene allora ricordare che è necessario usare molta prudenza nella valutazione di un presunto abuso. Perché se è vero che gli indicatori concernenti il corpo, sia nel caso di violenza sessuale con penetrazione, sia nel caso di maltrattamento fisico, sia nel caso di incuria o di discuria, offrono spesso indicazioni incontrovertibili o comunque molto significative, non è altrettanto vero per gli indicatori di tipo psicologico e per gli indicatori comportamentali.
Non esiste, infatti, una corrispondenza biunivoca tra un determinato tipo di trauma e la sintomatologia psicologica e comportamentale presentata dal minore.
Dalla sola sintomatologia psichica non si può dedurre né se c’è stato un abuso, né di che tipo di abuso eventualmente si è trattato. Quello che si può invece sicuramente affermare è che il minore sta vivendo uno stato di disagio psicologico più o meno grave.
E’ evidente allora che per poter affrontare un problema così delicato e che presenta tante sfaccettature (cliniche, sociali, educative, giuridiche, giudiziarie), è fondamentale l’apporto professionale di tutti coloro che, nel rispetto delle proprie competenze, si fanno carico di proteggere il bambino. Ma per far questo è necessario che venga attivata un’adeguata rete tra i servizi, che permetta di affrontare in modo eticamente corretto ogni caso trattato.
*Direttore Consultorio Familiare ASUR-ZT 12, 13