di Gabriele Villa*
04/01/2008 - Sulla spazzatura rischio di perdere la mia credibilità»: Antonio Bassolino, agosto, 2007, Napoli. Italia. Pianeta Terra, non Marte né Saturno. Ma dove è stato Bassolino fino ad oggi? Ma quante cose avrebbe dovuto e potuto fare e non ha fatto Bassolino in tutti questi anni? La sua credibilità? Forse solo scavando tra scarpe vecchie, ossa di pollo e bucce di banana si può ancora trovarne traccia.
Promesse, dichiarazioni d’intenti. Assicurazioni. Parole in libertà. Che, in quattordici anni, giorno dopo giorno, sono andate ad ammonticchiarsi una sopra l’altra. Stratificandosi esattamente come i rifiuti che stanno soffocando la Campania. È dal 1994 che i cassonetti di Napoli e dintorni traboccano. È dal 1994 che i politici di turno, sempre gli stessi (hanno solo cambiato posto come nel gioco antico della sedia) regalano proclami e certezze. E restando miracolosamente con la testa fuori dalla mondezza inanellano perle di un umorismo che potrebbe anche far sorridere se la situazione non fosse triste. E non c’è niente di peggio che un napoletano triste, diceva Totò. E pensare che se quelle degli amministratori campani di turno non fossero state solo balle, anzi eco-balle, a Pianura, nuova capitale della monnezza, l’unica raccolta che dovremmo fare oggi sarebbe quella delle palline da golf: una Srixon qui, una Taylor Made là. Sì, perché nel 1996, cioè undici anni fa, la discarica di Pianura avrebbe dovuto diventare un pregevole course nell’ambito di un progetto ambizioso che non è stato completato nemmeno sul tavolo da disegno: diciotto buche da ritagliare attorno al cratere Senga.
Sembrava tutto facile. Scacciare la spazzatura con uno swing: geniale. E, nel contempo: risanamento idrogeologico, riqualificazione del sistema viario, parcheggio multipiano, poliambulatorio, parco di 60 ettari, centro congressi. Rosa Iervolino, sindaco di Napoli dal 2001, è una simpaticona. Le sue dichiarazioni sulla spazzatura, che tracima dappertutto, tranne che nel suo ufficio, hanno sempre messo i napoletani di buonumore. È il 12 maggio del 2003 quando il sindaco rivela: «Ci stiamo avviando alla normalità». Otto mesi più tardi si corregge: «Abbiamo qualche problema». Il 21 maggio del 2007 corregge la correzione e ammette: «La situazione è tragica». Ma poi, nove giorni dopo, ritrova il suo ottimismo: «L’emergenza a Napoli è chiusa». A onor del vero gli fa compagnia anche il neo (all’epoca) commissario per l’emergenza rifiuti, Guido Bertolaso, che il 22 maggio annuncia: «In dieci giorni risolvo tutto». Qualche tempo dopo verrà aggredito dai manifestanti del no-discarica. Inferociti.
Intanto «Il Mostro che puzza e inquina ovunque» come canta Agnese Ginocchio, vocalist partenopea della protesta di massa contro il pattume, «inesorabilmente avanza». Ma quando il vescovo di Caserta, Raffaele Nogaro, celebrando Messa il 13 maggio del 2007 e ricelebrandola il 13 dicembre a Lo Uttaro, altro buco nero e maleodorante, le fa eco tuonando: «Dio liberaci dalla discarica» tornano in mente le parole, pronunciate il 10 maggio del 2003 dall’allora ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli: «C’è una lobby delle discariche e noi dobbiamo fare i conti con i preti e i vescovi che predicano contro gli impianti di smaltimento invece di pensare ai loro fedeli». Fortuna che un altro ministro dell’Ambiente, l’onnipresente Percoraro Scanio, addolorato ma non troppo per le minacce contro Bertolaso, ha le sue certezze: «L’immondizia dobbiamo portarla nei siti militari e la polizia la smetta di caricare i manifestati che bloccano gli sversamenti».
Torniamo a sorridere con l’immarcescibile Antonio Bassolino di due anni fa e la sua esilarante battuta: «Quando sono arrivato alla Regione il piano rifiuti c’era già. A decidere non sono stato io. Tutte le scelte più importanti erano state già fatte». Peccato che lui sia stato eletto sindaco di Napoli nel dicembre 1993, rieletto nel 1997 e poi sia diventato governatore e, continuando a «gestire» l’emergenza, sia stato riconfermato per altri quattro. Poche idee o semplice distrazione? In ogni caso un’idea gli è venuta, è storia di ieri, sfogliando le pagine del Corsera, e l’ha messa in rete nel suo Blog: «Bisogna fare come a Venezia, bruciare l’immondizia così cumm’è senza differenziare un fico secco».
Idee ne ha avute in verità anche la Iervolino. Che nel 2005 batteva i pugni sul tavolo: «Napoli deve avere il termovalorizzatore». Peccato che giusto sette mesi fa ha ribattuto i pugni sul tavolo dicendo: «Napoli non avrà un suo termovalorizzatore». E come se l’è presa con l’ambasciatore americano che in luglio aveva avvertito i suoi connazionali della puzza e dei rifiuti: «Ma che sta dicendo quello lì: i rifiuti non ci sono più». Il 18 dicembre rettifica: il centrosinistra ha le sue responsabilità ma c’è stata una campagna di demonizzazione. Salvo poi fare il botto di Capodanno: «Sull’emergenza il Comune di Napoli non ha alcuna responsabilità e nessuna competenza. Spetta al commissario di governo trovare le soluzioni». Evvai. Suvvia siamo seri.
L’11 febbraio l’emergenza rifiuti compirà quattordici anni. Milioni di euro buttati, quelli sì nell’inceneritore, miliardi di parole gettate al vento, una sequela di commissari straordinari solo negli stipendi. E oltre centomila tonnellate di rifiuti sparse nelle strade della Campania. Sommergessero almeno l’idiozia.
* (da: Il Giornale del 4 gennaio 2008)