Sindrome di Stoccolma: è possibile amare il proprio carnefice?
Natascha Kampusch, la giovane austriaca balzata agli onori della cronaca qualche giorno fa come la protagonista di un assurdo rapimento durato otto lunghi anni, passa le sue prime giornate di libertà ritrovata chiusa in una stanza, senza voler vedere sua madre ma pur sempre a pochi isolati dal luogo delle sue torture. Rupert Leutgeb, il portavoce della famiglia Kampusch, ha rivelato che durante i 3079 giorni della sua agonia–prigionia la ragazza ha tenuto un diario composto di un centinaio di pagine ma che il suo contenuto, almeno per ora, rimarrà segreto. La madre, Brigitta Sirny, ha dichiarato al quotidiano “Die Presse”, che sua figlia non vuole più vederla dopo il primo incontro avvenuto a poche ore dalla sua rinomata fuga. “È meglio per lei. Noi non sappiamo realmente cosa fare e quindi l’abbiamo messa nelle mani di professionisti” ha sentenziato laconicamente la madre di Natascha. Nessuno sa realmente come rapportarsi alla ragazza, neanche i suoi genitori che finora hanno avuto la possibilità di parlare con la propria figlia dell’accaduto solo durante gli incontri in commissariato. La giovane, abituata ad una quotidianità ripetuta per 8 anni ed improvvisamente svanita, sta vivendo ora i momenti più difficili di questa sua terribile esperienza: forse come non mai, ha la sensazione di sentirsi sola, di essere catapultata in un mondo totalmente altro, incapace di rapportarsi ad esso e di costruire nuove relazioni, soprattutto con la sua famiglia. Natascha, 18 anni, è ancora molto provata sia psicologicamente che fisicamente (pesa solo 40 chili per 1,60 metri di altezza), tanto che i fotografi accorsi durante la prima conferenza stampa al commissariato ed impegnati a ritrarla, sono stati quasi subito allontanati perché la ragazza non ce la faceva a reggersi in piedi. “Praticamente in questi anni non ha mangiato altro che cose fredde come pane e salsicce e mai frutta o legumi” ha dichiarato la madre ad un’ altra testata,il “Kurier”. Ciò che non risulta chiaro in questa surreale vicenda è il rapporto che giorno dopo giorno si era instaurato fra la giovane e il suo carceriere: il “Kurier” racconta che una volta appresa la notizia del suicidio del suo rapitore Natascha è scoppiata a piangere. Cosa legava i due protagonisti di questa storia? Natascha odiava il suo carnefice oppure divenendo il suo unico punto di riferimento, l’ unica figura umana cui aggrapparsi, questi era altresì diventato per lei importante e uno paradossalmente di cui fidarsi? E perché se la ragazza si era legata all’uomo, improvvisamente è fuggita? Secondo gli esperti la reazione causata dalla notizia del suicidio potrebbe indicare una particolare forma della cosiddetta “sindrome di Stoccolma”, ossia quella patologia in cui l’ostaggio solidarizza con il proprio sequestratore instaurando con esso una sorta di relazione affettiva. Gerhard Lang, della polizia giudiziaria, ha sottolineato che, essendo maggiorenne, la ragazza “ha il diritto di decidere se e con chi parlare della sua esperienza; ci ha chiesto solo di non dare per nessun motivo nessuna informazione a persone terze”. Cosa è successo durante quei lunghi 8 anni probabilmente non si saprà mai con certezza ma forse sarebbe meglio che i relativi ricordi inspiegabilmente scomparissero dalla mente della ragazza, così come qualsiasi forma di un altrettanto inspiegabile affetto nei confronti del suo rapitore.
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