Joan As Police Woman @ Sintetika, Firenze – 23.04.07
Joan Wasser, in arte Joan As Police Woman, è titolare di un debutto discografico (“Real Life”, uscito lo scorso autunno per Pias) di assoluto valore, che l’ha immediatamente collocata nell’Olimpo dell’indie-rock femminile. A dispetto di tante colleghe divenute famose già in tenera età – il pensiero va subito a Fiona Apple, con la quale le affinità artistiche sono innegabili – Joan ha aspettato parecchio prima di scrivere canzoni per sé. Un po’ perché grande musicista prima che cantante, per la precisione una violinista che ha collaborato con Rufus Wainwright, Antony, Nick Cave, Lou Reed. Un po’ perché dietro di lei c’è un fantasma difficile da ignorare (Jeff Buckley, suo fidanzato all’epoca della morte). Fatto sta che soltanto dopo anni passati a suonare per/con altri ha trovato l’ardire per mettersi in gioco e scrivere parole per raccontarsi in musica. Ma, siccome la fretta raramente paga in termini artistici, mentre pazienza ed esperienza sono ‘valori’ che non hanno mai fatto del male a nessuno, l’attesa ha dato i suoi frutti prelibati, come ben sa chi ha assaporato “Real Life”.
Ad assaporarlo devono essere stati in molti: per la ‘prima’ fiorentina di Joan al Sintetika c’è il pienone, la gente è attaccata al palco e inala note direttamente dal respiro dei musicisti. Lei compare con una camicetta fuxia che inzuppa presto di sudore. Presenta i suoi brani in formazione a tre, accompagnata da un basso e da una batteria. Appare subito chiaro che la resa live è notevole. Eternal Flame crea l’atmosfera giusta, Christobel scuote con il suo ritmo leggermente accelerato. Joan cincischia tra un pezzo e l’altro, gioca a mettersi in mostra stonata, blatera contro il governo del suo Paese, si calca bene in testa il cappellaccio con cui tiene coperti i capelli. Lascia la chitarra, va al piano ed è uno schianto. Riesce ad essere meravigliosa anche quando canta I Defy con una caramella in bocca. E’ a questo punto che trafigge tutti i presenti. Real Life già nella versione in studio era capace di stendere un esercito a colpi di bellezza e «it’s true what they say about love». Sentirla eseguita, vissuta, sudata e singhiozzata a così breve distanza è un’emozione che viene difficile descrivere: una delle più belle interpretazioni degli ultimi anni. In realtà tutte le interpretazioni sono favolose, anche nelle loro piccole imperfezioni; la musica scritta da Joan As Police Woman è di così incantevole rapimento che vorresti non finisse mai. Il concerto si chiude con la dedica ad Elliott Smith, con quella We Don’t Own It che chiude anche l’album e quelle parole che spezzano i polsi («how sweet he was to you/and all the others»).
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