REDDITI ONLINE. PERCHE' NO E COME COMBATTERE L'EVASIONE FISCALE SENZA DEMANDARLA AL VICINO DI CASA
di Pietro Yates Moretti* 05/05/2008 - Indipendentemente da quelle che saranno le decisioni definitive del Garante della Privacy e l'evoluzione della vicenda giudiziaria, la pubblicazione online dei redditi di tutti gli italiani da parte dell'Agenzia delle Entrate ci impone un dibattito fondamentale sul modello di societa' in cui vogliamo vivere -dibattito che certamente avrebbe dovuto aver luogo prima della suddetta pubblicazione. Dico subito che sono contrario alla pubblicazione dei redditi di tutti i cittadini, su Internet come su qualsiasi quotidiano cartaceo, perche' ritengo che debbano essere dati riservati al pari della cartella sanitaria, dei dati anagrafici, della preferenza sessuale e religiosa. Ma per rispondere alle argomentazioni di chi oggi sostiene questa misura -apparentemente popolare- non basta ripararsi dietro ad una legge, che puo' in ogni caso essere sempre modificata. Per questo, vorrei riflettere -ed analizzare- le argomentazioni di chi oggi sostiene questa misura, argomentazioni che si richiamano essenzialmente a tre principi: democrazia, trasparenza, lotta all'evasione.
E' UN FATTO DI DEMOCRAZIA – Nel difendere le azioni dell'Agenzia delle Entrate, il viceministro dell'Economia e delle Finanze, Vincenzo Visco, ha asserito che la pubblicazione dei redditi e' un fatto di democrazia. Per sostenere questa sua argomentazione, ha citato le grandi democrazie occidentali, ed in particolar modo gli Stati Uniti. Il fatto e' che, con l'eccezione della Finlandia, nessuna -ripeto, nessuna- democrazia liberale considera dati pubblici i redditi dei propri cittadini. Negli Stati Uniti, oltre ad esserne vietata la pubblicazione da una legge ad hoc, tale azione costituirebbe una violazione della privacy, principio che discende direttamente dalla Costituzione (IV Emendamento). Ma anche andando oltre le sfortunate parole di Visco, perche' la pubblicazione dei redditi di tutti i cittadini costituirebbe un fatto democratico? La democrazia (nel nostro caso, rappresentativa) e' partecipazione dei cittadini al governo della cosa pubblica tramite elezioni competitive. Perche' questo sia possibile, sono fondamentali principi quali la liberta' di espressione e di stampa, 'una testa un voto', e cosi' via. Infatti, e' possibile teorizzare una democrazia dove non esistono dichiarazioni dei redditi, perche' non si pagano tasse (democrazia non e' sinonimo di stato sociale). Ci pare quindi che la pubblicazione dei redditi di tutti i cittadini non sia direttamente collegabile al concetto di democrazia. Lo e' invece la trasparenza, altro concetto invocato dal ministro Visco e dai difensori del suo operato.
E' UN FATTO DI TRASPARENZA – A parte la proprieta' fisica di un oggetto, la trasparenza 'politica' e' indiscutibilmente un principio fondamentale in una qualsiasi democrazia. Lo avevano capito gli ateniesi, i primi a dar vita ad un vero e proprio esperimento democratico. La spesa sostenuta per la costruzione dell'Acropoli doveva essere pubblicata in dettaglio su una lastra di pietra accessibile a tutti i cittadini. Nelle democrazie occidentali di piu' lunga tradizione (Stati Uniti e Gran Bretagna) la trasparenza della Pubblica Amministrazione, dell'operato del Governo e del Parlamento, e' da sempre un valore fondamentale. Non a caso, fu proprio nel nome della trasparenza (glasnost) che molti popoli dell'Est europeo si sono liberati dalle catene della dittatura comunista. Senza la trasparenza delle istituzioni, infatti, il cittadino non sarebbe in grado di giudicare a pieno l'operato dei propri rappresentanti, ed il suo voto -essenziale perche' vi sia democrazia- non sarebbe informato. In questo concetto di trasparenza rientrano anche gli stipendi dei dipendenti pubblici, in quanto i contribuenti (gli azionisti delle istituzioni) hanno diritto di sapere dove vanno a finire i loro soldi. Oppure dei dirigenti di societa' partecipate. Oppure di societa' che ricevono contributi pubblici. Notare pero' come la trasparenza riguardi sempre e comunque il modo in cui le istituzioni si rapportano con i cittadini, rendendo conto del proprio operato. Ne' nell'Atene di Pericle, ne' negli Stati Uniti di Jefferson, ne' nella Polonia di Lech Walesa la trasparenza riguardava i singoli individui. Nessuna lastra di pietra con le spese dei singoli cittadini, insomma. Al contrario, per sconfiggere la tentazione totalitaria, che si fonda proprio sul controllo della vita privata di ciascuno, le democrazie liberali hanno elaborato un principio 'opposto', il cosiddetto diritto alla riservatezza: lo Stato -e tanto meno i cittadini- non ha alcun diritto di intromettersi nella vita privata dei singoli individui, se non nella misura minima indispensabile per riscuotere le tasse e perseguirne i comportamenti che danneggiano la comunita'. Le quattro mura di casa, insomma, devono rimanere quantomeno opache, se non si vuol rischiare di vivere in un regime totalitario. Ma anche in questo caso, il controllo e' demandato alle autorita' preposte, sul cui operato i cittadini avranno poi la possibilita' di esprimersi attraverso l'elezione di nuovi amministratori. Mai in una democrazia occidentale i controlli di polizia -anche fiscale- sono demandati ai concittadini. Il controllo 'popolare' attraverso la trasparenza 'orizzontale' fra concittadini, e' da sempre un pilastro dei regimi totalitari, che cosi' riescono a piazzare orecchie ed occhi ovunque. Il diritto alla riservatezza e' tanto piu' importante oggi, nell'era dell'elettronica e della informatizzazione. Le immagini riprese dalle telecamere della Ztl non possono essere pubblicate urbi et orbi, proprio perche' metterebbero a rischio la privacy dei cittadini, anche se colpevoli di aver infranto la legge. Cosi' come i dati anagrafici sono disponibili alle istituzioni per il loro corretto funzionamento (ad esempio, per la notifica di importanti comunicazioni ufficiali), ma non possono essere divulgati pubblicamente senza il consenso dell'interessato. Lo stesso dicasi della cartella sanitaria, che affidiamo al nostro medico affinche' possa meglio curarci, ma non certo al resto del mondo. E infine le societa' di riscossione dei crediti (es. Equitalia) non possono pubblicare gli elenchi di coloro che non hanno pagato multe o tasse. Certamente, con l'aiuto dei cittadini, le autorita' sarebbero in grado di sanzionare un maggior numero di violazioni. Il tasso di criminalita' nei regimi dittatoriali e' generalmente molto inferiore rispetto a quello delle democrazie moderne. Ma abbiamo deciso -io credo, saggiamente- che il diritto alla riservatezza, il diritto a non essere discriminati in base al proprio reddito, al sesso dei nostri conviventi o alla nostra storia sanitaria, prevale sull'interesse generale di individuare e sanzionare il maggior numero possibile di violazioni della legge. Solo in alcune eccezionali situazioni sono previste deroghe a questo principio. Ad esempio, in stato di guerra o di emergenza.
E' UN FATTO DI EMERGENZA – E arriviamo quindi all'ultima argomentazione, esemplificata da un editoriale di Beppe Severgnini sul Corriere della Sera di domenica 4 maggio: "La privacy e' importante, ma e' altrettanto importante rompere un'imbarazzante tradizione: l'Italia e' l'unica, tra le grandi democrazie, dove l'evasione e' epidemica. Forse per questo negli Usa e in Gran Bretagna nessuno s'e' mai sognato di mettere i redditi in Rete". Insomma, pur percependo la violazione della riservatezza, per Severgnini la pubblicazione dei redditi trova giustificazione in una situazione straordinaria, eccezionale. Si tratta quindi di una misura eccezionale, emergenziale, per combattere e disincentivare l'evasione fiscale fuori controllo. Chi scrive e' generalmente contrario alle misure emergenziali, spesso ammissione della sconfitta dello Stato, della legge e dello Stato di diritto, piu' che strumento efficace di repressione di comportamenti criminosi. Che in Italia l'evasione fiscale sia altissima, forse la piu' alta nel mondo occidentale, non e' in discussione. Ma per trovare la cura, sarebbe forse necessario cercare anche le cause della malattia, prima di avventurarsi in una improvvisata terapia d'urto dalla dubbia efficacia e con diversi effetti collaterali. Non osiamo pensare che Visco -e con lui Severgnini- consideri l'evasione fiscale una malattia genetica tutta italiana, anche se questo sembra suggerire. Se gli italiani evadono piu' degli americani e dei britannici, forse ci sono motivi che vanno oltre la genetica o la 'tradizione' (che pure ha un suo peso). E' un istinto naturale ed umano quello di volersi arricchire, propensione che e' alla base del sistema economico occidentale, a fortissima impronta capitalistica. Il concetto di competizione, motore dell'economia moderna, nasce e si nutre proprio di questo istinto. Ma ogni istinto, se incontrollato, rischia di arrecare un danno ad altri individui. Se per aumentare il mio grado di ricchezza appicco il fuoco al negozio del mio concorrente, oltre a commettere diverse infrazioni del codice penale, infrango anche le piu' elementari regole della competizione, danneggiando cosi' non solo il collega, ma anche l'intero impianto economico e con esso un numero indefinito di consumatori. Cosi' come se per aumentare il mio patrimonio non pago tutte le tasse dovute, arreco un danno non solo alla collettivita' nella misura in cui i servizi pubblici saranno sottofinanziati, ma anche ai miei concorrenti onesti, costretti a competere ad armi impari.
LE VERE CAUSE E ALCUNI RIMEDI - Tanto umano e' l'istinto all'arricchimento personale, che anche negli Stati Uniti non mancano certo gli evasori fiscali o i concorrenti sleali. Solo che sono un numero infinitamente inferiore rispetto agli italiani. Perche'? Questo e' l'interrogativo che forse dovremmo porci per cominciare a curare il male. A mio avviso vi sono diverse cause complementari, i cui rimedi sono molto piu' complessi, difficili ed impopolari rispetto alla cura semplicistica e sicuramente inefficace individuata impromptu dall'Agenzia delle Entrate. Vediamone alcune. La pressione fiscale e' molto piu' bassa negli Stati Uniti. Una famiglia di quattro persone con un reddito mensile di 2.000 dollari, ad esempio, non paga tasse. E ci mancherebbe altro, visto che 2.000 dollari sono appena sufficienti a sopravvivere. In Italia, invece, la famiglia con un reddito equivalente (circa 1.300 euro), non solo paga la sua buona aliquota, ma anche tutte le tasse comunali (l'Ici, ad esempio). Per non parlare delle imposte indirette sui beni di consumo (ad esempio l'Iva), che supera piu' del doppio l'imposta equivalente negli Stati Uniti. Anche per l'imprenditore medio-piccolo o il piccolo professionista, le tasse sono infinitamente piu' alte in Italia, per non parlare dei balzelli burocratici per poter avviare un'attivita' economica, il costo del lavoro, etc. Insomma, il nostro sistema fiscale e' chiaramente piu' iniquo, perche' spesso, troppo spesso toglie anche laddove si sopravvive. Le tasse le si pagano piu' volentieri quando vi sono servizi pubblici efficienti, ben amministrati, privi di sprechi. Credo sia superfluo approfondire ulteriormente l'impatto devastante che i (dis)servizi pubblici e la gestione delle amministrazioni locali hanno sull'evasione fiscale in Italia. La 'tradizione' dell'evasione va di pari passo con la 'tradizione' della malagestione pubblica. Nella grandissima maggioranza dei casi, gli italiani pagano le tasse senza sapere esattamente dove vanno a finire. Gli americani pagano ciascuna tassa sapendo esattamente a quale amministrazione o autorita' essa e' destinata, per poi giudicarne l'operato. Se una cittadina statunitense vuole aumentare la presenza delle forze dell'ordine, chiede un aumento delle tasse comunali per questo specifico obiettivo. Se poi il cittadino che ha pagato quella sovrattassa non si sentira' piu' sicuro o non percepira' una maggiore presenza delle forze dell'ordine, caccera' quel Sindaco alle elezioni successive. In Italia non vi e' neanche lontanamente questo grado di responsabilizzazione fiscale delle amministrazioni pubbliche. Tutto o quasi finisce a Roma, che poi destina le risorse qua o la' secondo criteri francamente poco trasparenti. In questo modo, l'amministratore locale non e' mai responsabile, potendo dare la colpa a questo o quel ministero che non ha stanziato i fondi. La Internal Revenue Service (Irs), l'equivalente della nostra Agenzia delle Entrate, e' infinitamente piu' efficace nella lotta all'evasione. Lo e' perche' ha maggiori poteri e strumenti di indagine, nonostante non sia dotata di un corpo militare armato fino ai denti come la Guardia di Finanza. Insomma, le risorse dell'Irs vengono spese nella formazione di investigatori fiscali, preparatissimi, e non in addestramenti militari. Le pene per l'evasione fiscale sono molto piu' severe negli Stati Uniti e comprendono il carcere. Basti pensare ai tre anni che dovra' farsi in prigione l'attore hollywoodiano Wesley Snipes, recentemente condannato per evasione fiscale. Tutt'altra sorte e' toccata alla nostra icona del motociclismo Valentino Rossi, condannato ad una modesta -per lui- pena pecuniaria. Con questo, non invoco il carcere per l'evasione fiscale, ma pene adeguate al danno erariale provocato. In definitiva, credo che le cure, improntate innanzi tutto al recupero del rispetto verso le istituzioni, siano: abbassamento e redistribuzione della pressione fiscale, maggiore efficienza dei servizi pubblici, trasparenza e buona gestione della Pubblica Amministrazione, federalismo fiscale, demilitarizzazione della Guardia di Finanza e maggiori strumenti -non armi da fuoco- di indagine all'Agenzia delle Entrate. Il tutto, accompagnato da una maggiore efficacia e severita' delle sanzioni, che puo' trovare giustificazione solo se vi e' la percezione che il sistema fiscale sia equo. Insomma, cure difficili e di lungo termine, e che certamente troverebbero la feroce opposizione delle varie 'caste' e 'corporazioni'. Ma solo cosi' si puo' creare una 'tradizione' alternativa, fondata sul rispetto per le istituzioni alle quali si contribuisce con spirito di partecipazione, perche' se ne percepisce l'utilita' e l'efficacia. Provvedimenti come la pubblicazione dei redditi online trovano giustificazione solo nell'ottica del capitalismo politico, dell'arricchimento elettorale, luoghi dove prevalgono misure popolari e populiste, superficiali e mediaticamente efficaci. Davvero si pensa di combattere l'evasione sfruttando i sospetti e le invidie del collega? Davvero si pensa che il co-condomino possa recarsi alla Guardia di Finanza e denunciare il sospetto evasore perche' dichiara troppo poco rispetto al tenore di vita visibile all'esterno? In base a questo principio, allora perche' non dare accesso alle case di tutti i cittadini per controllare il valore dei mobili, dell'argenteria, degli oggetti preziosi in essa contenuti? Oppure degli scontrini della spesa, per capire se si comprano caviale ed ostriche piuttosto che pane ed uova? Insomma perche' non rendere trasparenti anche le mura di casa? Sicuramente tutto cio' disincentiverebbe l'evasione, ma allo stesso tempo darebbe vita ad una societa' in cui molti di noi non vorrebbero o potrebbero vivere.
La realta', purtroppo, e' che misure come quelle adottate da Visco costituiscono solo l'ammissione dell'impotenza dello Stato, facendo propria una nuova e preoccupante filosofia: laddove non possono le istituzioni, chissa' che non possa il vicino.*vicepresidente ADUC
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