Bambini e psicofarmaci: un binomio controverso
L'opinione di Antonio Guidi, Presidente dell'IIMS Nel maggio 2006 il quotidiano USA Today ha rivelato che la Food and Drug Administration americana è in possesso della documentazione relativa a 45 decessi infantili provocati da nuovi farmaci antipsicotici. Gli esperti sostengono che il numero delle vittime potrebbe aggirarsi attorno a 450. Preoccupante è il fatto che le prescrizioni per farmaci antipsicotici a soggetti di età compresa fra 2 e i 18 anni è passata da meno di 500.000 nel 1995 a circa 2,5 milioni nel 2002, con un aumento del 400%. Le morti provocate da farmaci antipsicotici rappresentano la terza grande categoria di decessi provocati da psicofarmaci letali, attualmente prescritti a milioni di bambini americani; gli antidepressivi hanno ora l'obbligo di recare sulla confezione il "riquadro nero" di avvertimento che avvisa come il farmaco provochi nei bambini e negli adolescenti reazioni suicide. A livello internazionale, sono più di una decina gli avvertimenti lanciati sugli effetti collaterali che gli psicofarmaci hanno su bambini e adolescenti, tra i quali danni al fegato, scompensi cardiaci, sincopi, allucinazioni, psicosi, comportamento violento, tendenze suicide e morte. Le statistiche rivelano che 30.000 bambini sono in cura psicofarmacologica in Italia. Il decreto sui limiti quantitativi massimi delle sostanze stupefacenti emanato dal Ministero della Salute e il Ministero della Giustizia lo scorso 11 aprile riporta, nella tabella 1 e 2 delle sostanze stupefacenti, il metilfenidato, stimolante utilizzato in medicina per il trattamento del disturbo da deficit dell'attenzione e iperattività (ADHD) in bambini e adulti. L'opinione di Antonio Guidi, Presidente dell'IIMS "Nella psichiatria e nella psichiatria infantile tornano ciclicamente argomenti, tensioni, vertenze, tra scuole di diverse opinioni, che si risolvono in una conflittualità, qualche volta aspra, qualche volta semplicemente di maniera. In particolare, nella psichiatria infantile tra i vari temi che sono causa di contrasto, si ritrova quello relativo all'utilizzo di tecniche che per alcuni tendono a curare un disturbo, una sofferenza, una malattia, per altri servono invece a ridurre la creatività, la possibilità di espressione del bambino. Mi riferisco ad un tema di grande attualità che, nell'ultimo periodo, ha anche coinvolto il nostro Parlamento, cioè all'utilizzo di psicofarmaci da parte dei più piccoli, come ad esempio nella cura della cosiddetta sindrome ADHD che riguarda la difficoltà di attenzione e di iperattività. Di fronte a tale tema abbiamo un aperto contrasto: da una parte la "scuola del farmaco", dall'altra quella del "non farmaco", e quasi mai, se non nella pratica quotidiana, si tenta una mediazione. A tale proposito il percorso che ho cercato di seguire, dapprima al Ministero della Salute, oggi all'Istituto Italiano di Medicina Sociale, è quello di non demonizzare alcuna tecnica, incoraggiando un percorso che mira ad una diagnosi corretta, che non consideri buona prassi abusi psicofarmacologici o scorciatoie farmacologiche. Tali atteggiamenti dovrebbero anzi essere scoraggiati a favore di un'analisi reale di quanto, con un approccio sistemico alla famiglia, il bambino possa essere aiutato a liberarsi di tante difficoltà e a esprimersi liberamente. Oltre all'uso di psicofarmaci, oggi si sta affermando la tendenza, nella psichiatria infantile, di ricorrere anche a farmaci antidepressivi (tendenza già discutibile nella psichiatria degli adulti), e tale prassi ripropone con urgenza il problema dell'utilizzo degli psicofarmaci da parte dei bambini. Se nella sindrome ADHD, per una ristretta fascia di bambini l'utilizzo di alcuni psicofarmaci per un breve periodo mi trova sicuramente d'accordo nel considerarli utili, l'uso invece di antidepressivi nell'infanzia mi porta ad esprimere forti dubbi, che mi pongo non solo come presidente dell'IIMS, ma soprattutto come psichiatra infantile. Tali psicofarmaci, se utilizzati in modo non corretto, provocano negli adulti gravi problematiche e la loro sospensione porta a suicidi o a tentativi di suicidio. Questa tendenza si riscontra anche nell'infanzia. Esistono ricerche negli Stati Uniti che ci fanno riflettere su tanti abusi in questo ambito; queste ricerche evidenziano anche che nel 60% dei casi di tentativi di suicidio di bambini questi facevano uso da più di tre mesi di antidepressivi. Si tratta di un dato impressionante: da una parte l'emergenza suicidi, dall'altra l'overdose di psicofarmaci che riduce la capacità di pensare del bambino. La pericolosità dello psicofarmaco non è solo legata alla nocività di uno scorretto utilizzo, ma è soprattutto di tipo pedagogico in quanto il genitore, il pediatra, lo psichiatra infantile non possono pensare di delegare alla pillola la soluzione di un problema grave che riguarda la complessità del vissuto di un bambino. A tale proposito l'IIMS - con l'ausilio di vari interventi che coinvolgono medici specialisti, il Ministero della Salute, i rappresentanti dell'AIFA, e vari esponenti politici - si propone a breve di affrontare il problema in un convegno, finalizzato a proporre una mediazione fra le diverse correnti che metta al centro la salute del bambino e che faccia prevalere il buon senso, la ragione, e l'abbattimento degli interessi delle grandi lobby. L'Istituto intende dare il suo contributo per arrivare se non alla soluzione del problema, a un punto di incontro, di discussione, in questo difficile percorso tra farmaco, psicoterapia e infanzia". (da iims.it)
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