Omaggio a Rosetta
Omaggio a Rosetta G. Cara Rosetta, mi trovo qui, nella solitudine di una domenica pomeriggio, a ricordarti con affetto. Dicono che avevi già compiuto i 98 anni, che eri malata non autosufficiente, che, morendo, hai smesso di tribolare. Quando vado a trovare degli amici superstiti, nella casa di riposo dove soggiornarvi, sento la Tua mancanza, un grande vuoto. Sento la mancanza delle Tue bizze, di Te che mi dicevi sempre che quello era l'ultimo giorno in cui mi vedevi lì, al ricovero, e che l'indomani saresti tornata a casa, o, addirittura, a Roma. Mi raccontavi della Tua amicizia con Alberto Sordi, Tuo vicino di casa, di come, nel dopoguerra, avevi fatto la comparsa in alcuni suoi film, “Roma via quanto mi manchi”!. Per gli altri ospiti del ricovero, rassegnati, eri motivo di sorriso quando Ti intestardivi dicendo: “non voglio passare qui il resto della mia vita!”. Poi la frattura al femore, il Tuo ricovero prima ad ortopedia con l'operazione, poi a geriatria, poi ancora tra i lungodegenti, infine il pietoso ritorno al ricovero per farti morire in un modo più umano. Te ne sei andata in silenzio, forse neppure consapevole del passo che stavi facendo verso l'Eternità. Eppure non mi rassegno, quando vado al ricovero Ti cerco come fossi ancora viva. Dovevi campare due secoli, non soltanto 98 anni! Con Te scompare la memoria di un'epoca, il ricordo di un Mondo, prima della Guerra, profondamente diverso dal nostro. Ma soprattutto scompare una Persona unica, caparbia e ribelle, che riempiva con la sua voce la triste silenziosa Sala di lettura di un ospizio. Ti saluto, Rosetta, ci ritroveremo, prima o poi, tutti e due, nell'unica vera casa, la Casa del Padre. Con Affetto. Tuo Peppe
|