“Basic Instinct 2: Risk addiction” di Michael Caton-Jones
Era il 1992 quando Sharon Stone nei panni della scrittrice Catherine Trammell, accavalando le gambe durante un interrogatorio ad alto contenuto erotico impostole da Michael Douglas, diventava un’icona cinematografica riuscendo ad entrare (e a restarci malgrado una carriera costellata da interpretazioni non sempre magistrali) nell’immaginario collettivo come esempio massimo di sex appeal e di una sessualità perversa, ambigua ed al limite della censura. Passati 14 lunghissimi anni caratterizzati anche da battaglie legali riguardo la pre e la post produzione (la stessa Stone ha dovuto lottare per non vedersi strappare il personaggio che l’ha resa celebre), arriva sugli schermi mondiali il sequel di “Basic Instinct”, preceduto da un vespaio di polemiche ed una campagna di lancio assolutamente hollywoodiana. Ma la musica, è evidente fin da subito, è cambiata: andato via Michael Douglas e spostatasi la scena nella piovosa Londra, la storia sa sicuramente di dejà vu, con la protagonista sempre impegnata ad inseguire i suoi amori torbidi ed a liberarsi dai sospetti provenienti dalle pagine dei suoi romanzi dove vengono narrati gli efferati omicidi verificatisi poi nella realtà. Presentato come più audace, più spinto, con scene di sesso da censura (previsto anche un menage à trois fra la Stone, il detective Michael Glass ed un’amica dell’ambigua scrittrice), il film non riesce a ripercorrere i fasti del primo capitolo, sprofondando in penosi luoghi comuni inerenti il sesso e con una protagonista che sembra alle volte la caricatura di sé stessa (una sceneggiatura troppo superficiale?), seppur la Stone non abbia minimamente perso il suo fascino perverso, riuscendo ad essere ancora credibile alla soglia dei 50 anni ed ammaliare ugualmente il sesso femminile e quello maschile. L’alchimia con il protagonista maschile David Morrissey non è minimamente paragonabile a quella della coppia del primo “Basic Instinct”, nonostante i tentativi di ripercorrere quei fasti siano evidenti. Se nell’originale la scena con la Stone protagonista del famoso accavallo entrava di diritto a far parte delle scene cult cinematografiche, in “Basic Instinct 2: Risk addiction” il cinema ed il regista sembrano prendersi gioco di se stessi: è riproposta una versione soft con la scrittrice Trammell con le gambe aperte dietro una sedia (in realtà il regista Caton-Jones ha voluto citare un suo precedente film del 1989 “Scandal”, dedicato alla scandalo John Profumo e con una scena identica, a partire dalla locandina). A completare il cast oltre i due già citati protagonisti, un’inquietante Charlotte Rampling interpreta la psichiatra impegnata a domare “quella bestia feroce che è Sharon Stone, impedendole di seminare distruzione”. Il film resterà senza dubbio al centro dell’attenzione pubblica e dei media ancora a lungo e dopo averlo visto imperversare sulla maggior parte dei quotidiani nazionali con giudizi assolutamente contrastanti (“troppo sesso ai limiti del porno” Corriere della Sera, “troppo poco sesso e da fotoromanzo” Il Messaggero) non ci resta che decidere se dare ancora credito alla Trammell ed ascoltarla nei suoi lunghi interrogatori.
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