Marco Parente “(Neve) ridens”
Etichetta: Mescal Brani: Neve / Michelangelo Antonioni / Trilogia del sorriso animale: I sorriso / Trilogia del sorriso animale: II sorriso / Amore cattivo / Neve ridens / Gente in costruzione / Ascensore inferno piano terra / 30 secondi di vento / Vita moderna Produttore: Marco Parente
Tornano i versi scombinati di Marco Parente per la seconda parte del progetto “Neve ridens”. Progetto pensoso sopra i ripari comodi della forma classica della canzone. Lo immagino mentre rimugina le sue parole sfinite, Marco Parente. Anzi, l’ho visto qualche giorno fa mentre era in bici in via La Marmora, a Firenze, con qualcosa di ingombrante nel portapacchi, e mi sono fermato ad osservare la sua pedalata. Di sicuro non dava l’idea di avere fretta, il nostro Marco, non andava a più di dieci pedalate al minuto, e aveva lo sguardo così sognante che ho rinunciato al mio impulso di chiamarlo gridandogli «Sveglia! Ti stanno rubando la lettera A!»
Lo sguardo fisso in posizione sogno e la mente in contorsione trovano giustificazione nei versi di Neve («non riesco a dormire/a pulire la memoria/finire questa frase fino in fondo») e di 30 secondi di vento («fuori di me pronuncio/il tuo nome di vento»), spessi come una foglia increspata o un foglio unto, traslucidi come un film pieno di silenzi. Michelangelo Antonioni viene evocato anche nella rilettura di Caetano Veloso, a cui Marco aggiunge parole sue («senza fine la fine senza fine la fine senza finestra»). La trilogia del sorriso si conclude e la parte di mezzo, già apprezzata molto dal vivo, quando dilatava gli spazi della riflessione con ghigni aguzzi, continua a mostrare i suoi denti.
Vengono qui superati tutti i limiti di rarefazione toccati dal precedente capitolo. Prendiamo la prima parte di Amore cattivo, splendido gioco di piano e voci posizionato in mezzo all’album: un inno all’ineffabilità in soli tre versi («siamo un mare appeso a un filo/tesi a brillare quadrare l’amore/che è anche cattivo»). E’ musica per sottrazione, in cui a gridare sono i silenzi e a dipingere l’atmosfera i bianco e neri. Parola mangia parola, d’accordo: non mi sorprende che il “(Neve) ridens” che preferisco sia nella coda strumentale di Ascensore inferno piano terra, cinque minuti di gioia sospesa nel vuoto, come una libertà soffocata dal rincorrersi tra il piano e il clarinetto.
Meritevole di speciale menzione è anche Gente in costruzione, una folk-ballad che fa della tradizione un trampolino di lancio verso voli iper-terreni e che, insieme alla gemella Un tempio del precedente capitolo, rappresenta il miglior passaporto per quei vasti scenari in cui a farla da padroni sono l’originalità e il coraggio. «E’ così sottile il bilico tra/la costruzione e la distruzione/da sembrare una cosa sola/un solo odio un solo amore»: lui va solitario, per i fatti suoi su un percorso senza guide e senza seguaci. Non è rintracciabile altrove la forma di cantautorato che Marco sta sperimentando ormai da dieci anni.
Leggi anche la recensione di “Neve (ridens)” (settembre 2005): http://win.ilmascalzone.it/re132.htm
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