22/02/2008 - Parte dal Teatro Alfieri di Torino il 4 Febbraio il nuovo tour di Roberto Vecchioni “...Di Rabbia e Di Stelle” che toccherà le città più importanti del centro-nord.
Queste le date:
4 Febbraio - Torino – Teatro Alfieri
9 Febbraio - Milano – Teatro Smeraldo
12 Febbraio - Trento – Auditorium Santa Chiara
13 Febbraio - Mestre – Teatro Toniolo
15 Febbraio - Reggio Emilia – Palasport Bigi
23 Febbraio - Firenze – Teatro Saschall
13 Marzo – Massa (MS) – Teatro Guglielmi
15 Marzo - Ivrea – Auditorium ex Officina Olivetti
17 Marzo – Genova – Teatro Carlo Felice
21 Marzo – Torino – Teatro Alfieri
22 Marzo - Stradella (PV) – Teatro Sociale
26 Marzo – Milano – Teatro Smeraldo
29 Marzo - Grottammare (AP) – Teatro delle Energie
06 Aprile – Ancona - Teatro delle Muse
17 Aprile – Bologna – Teatro Europauditorium
21 Aprile - Roma - Teatro Sistina
Disco D'Oro! con oltre 35.000 copie vendute, “...Di Rabbia e di Stelle”, uscito nell'autunno del 2007 (9 Novembre), è l'ultimo lavoro di Roberto Vecchioni, dove i temi trattati sono di un'attualità sconcertante!
Non è soddisfatto del mondo e dell’Italia in cui viviamo Vecchioni, e questo lo fa arrabbiare.
La volgarità e la banalità dei tempi, ingiustizie comprese, suscitano le ire del nostro. E anche il modo con cui rispondiamo, noi adulti, noi che il pallino l’abbiamo in mano, alle domande dei nostri figli.
Poi c’è l’amore. Vecchioni è maestro della canzone d’amore, da sempre. Ma stavolta le sue sono canzoni dell’amore in crisi, canzoni dell’aridità del cuore, di una aridità riconosciuta, ammessa senza vergogna, confessata. Canzoni dell’impotenza ad amare, dell’amarezza nel ritrovarsi vuoti. Canzoni del tempo che passa e che speravamo ci trovasse diversi.
“…DI RABBIA E DI STELLE” è un disco pieno di vita, di scatti, di inventiva e di invettiva, di romanticismi e di lame taglienti, di allegrie musicali, di filastrocche, di nonsense, perfino di parolacce (ma solo quando le parole sembrano anche quelle troppo “buoniste”). Sentimenti che Roberto vuole esprimere e comunicare nella situazione che gli è più congeniale: il live.
Insomma è un disco da grande ritorno con un tour da grande ritorno, da Vecchioni in gran forma.
Ad accompagnare il cantautore sul palco Lucio Fabbri (violino e chitarre), Michele Ascolese (chitarre), Fabio Moretti (chitarre), Dino D'Autorio (basso),Ilaria Biagini (pianoforte,tastiere,fisarmonica, flauti), Iarin Munari (batteria).
Direzione Musicale: Lucio Fabbri.
Coordinamento artistico: Daria Colombo.
ROBERTO VECCHIONI “…DI RABBIA E DI STELLE”, PIƯ CHE UN DISCO, UN BLUES
Roberto Vecchioni, da chiederci alla fine dell’ascolto se forse il problema non siamo noi, la nostra pochezza di sentimenti e gli occhiali rosa con cui forse vogliamo nasconderci la drammaticità dei tempi in cui viviamo. Ma quando un grande artista parla – ed era qualche anno che Vecchioni non scriveva più nuove canzoni – bisogna fermarsi e stare ad ascoltare. Forse ci sta suggerendo qualcosa per illuminare i nostri malesseri, o forse ci sta semplicemente mostrando la strada della sincerità.
Non è soddisfatto del mondo e dell’Italia in cui viviamo Vecchioni, e questo lo fa arrabbiare. Non è questione di grillismo o di cattiva politica: è la volgarità e la banalità dei tempi, ingiustizie comprese, a suscitare le ire del nostro. E anche il modo con cui rispondiamo, noi adulti, noi che il pallino l’abbiamo in mano, alle domande dei nostri figli.
Poi c’è l’amore. Vecchioni è maestro della canzone d’amore, da sempre. Ma stavolta le sue sono canzoni dell’amore in crisi, canzoni dell’aridità del cuore, di una aridità riconosciuta, ammessa senza vergogna, confessata. Canzoni dell’impotenza ad amare, dell’amarezza nel ritrovarsi vuoti. Canzoni del tempo che passa e che speravamo ci trovasse diversi. Più che un disco, un blues.
Però fermi tutti: questo non vuol dire che “…DI RABBIA E DI STELLE” sia un disco triste, tedioso, da poeta in disarmo. Al contrario è un disco pieno di vita, di scatti, di inventiva e di invettiva, di romanticismi e di lame taglienti, di allegrie musicali, di filastrocche, di nonsense, perfino di parolacce (ma solo quando le parole sembrano anche quelle troppo “buoniste”).
Insomma è un disco da grande ritorno, da Vecchioni in gran forma. E musicalmente perfino doppio, affidato com’è per metà alle cure musicali di Lucio Fabbri e per l’altra a quelle di Patrizio Fariselli. Meglio due chiavi di una, meglio due strade che una sola. Eppure c’è un unità finale di risultato che rende “… DI RABBIA E DI STELLE” uno dei più bei lavori di tutta la carriera di Roberto Vecchioni.
LE CANZONI
LA RAGAZZA COL FILO D’ARGENTO
La vecchia, cara, antica metafora, la possibilità doppia, tripla, quadrupla di interpretare un testo, nella stessa onda dei migliori Dylan e De Gregori. E poi gran spolvero di folk rock alla Tom Petty, anche se solo il nostro sa inventarsi slogan musicali come: “Mandate via questo sole/sto fottutissimo sole”.
NON LASCIARMI ANDARE VIA
Primo pezzo da novanta. Della melodia del ritornello non vi sbarazzerete tanto facilmente: è una delle più belle e complesse che Vecchioni abbia mai scritto. Ha retrogusti tardo romantici, profumi tristi di melodramma, sottili spostamenti armonici battiateschi. E il testo è puro struggimento: “Ed improvvisamente hai dimenticato /com’era bello l’amore/e te ne vai in giro/come un vecchio cane sfiancato/che non sente più nessun odore”. Disillusione, disamore dell’amore.
NEANCHE SE PIANGI IN CINESE
Il vecchio leone non sbaglia un colpo: nel titolo c’è tutta la filosofia della canzone. Mandolini, country rock campagnolo, ironia corrosiva. Rivendicazione divertita della propria differenza maschile, sottolineatura forte della propria autonomia. Ma con una chiusa d’amore e di perdono.
OH AMORE AMORE AMORE
Vecchioniana al quadrato, secca ma melodica, avvolgente. Molto francese (“Oh, amore, amore amore/quante bugie abbiamo detto all’amore”), molto viscere messe sul tavolo: “Io non capivo, non sentivo, non leggevo/non vedevo mai, quello che avevi in cuore/ma cosa avevi in cuore?”
COMICI SPAVENTATI GUERRIERI
Sono i ragazzi di oggi, i nostri figli. Pieni di domande, pieni di casini, pieni di voglia di assaltare il cielo: “Hanno un bagaglio di speranze deluse/come onde che si infrangono sugli scogli”; ma che ricevono in cambio la meschinità di noi adulti: “Un mondo che avete storpiato/ingannato, tradito, massacrato”. Ed ecco l’alto là di Vecchioni: “Non azzardatevi a toccarli mai/non azzardatevi a giudicarli/tirate via le vostre sporche mani/non confondetevi coi loro sogni”. Lui padre, lui adulto, però si mette da un’altra parte: “I poeti non saranno anche nessuno/ma hanno il potere di sputtanarvi”. Energetica, ruvida, perfino un po’ manichea. Ma forse oggi servono anche canzoni in bianco e nero, senza mezzi toni.
AMICO MIO
Canzone notturna, griffata dal jazz di Fariselli (pianoforte) e Dalla Porta (contrabbasso). Canzone di amicizia virile e di tristezza, canzone dell’amico che se ne è andato, blues senza negritudine con insoliti archi forse di quaranta, cinquant’anni fa. Ma che dopo tanti sound ubriacanti sembrano nuovi, mai ascoltati prima. Una strofa smuove qualcosa dentro: “Amico mio/siamo qui accecati in un abbaglio/e ogni tanto si apre uno spiraglio/e in un canto di miseria grande/ci batte il cuore”.
QUESTI FANTASMI
Il capolavoro di Eduardo non c’entra niente. C’entra invece Guccini, e la sua “L’avvelenata”. Perché questa, senza tema di smentita, è l’avvelenata di Roberto Vecchioni, invettiva furente e divertita verso i fighetti d’ogni tempo e latitudine. Rockettara, spumeggiante di insulti in rima baciata, alternata e incrociata, regala allegria e belle risate.
NON AMO PIƯ
Solo chitarra acustica e voce: canzone di delusione di sé, sincera, intensa, commossa. Il cantautore si sente arido e stanco, e lo dice senza pudore: “Sarà questo rivedere la mia vita/come un grande inimitabile perduto amore/Sarà che mi sento stanco/di pensieri, di parole, di persone e anche di idee”. Chi vive con un briciolo di verità non può non riconoscersi, magari con la voglia di ricominciare tutto da capo.
MOND LADER
Una specie di reggae-rock in milanese, il milanese dei figli di “terroni”, dei meticci come Vecchioni, Jannacci e praticamente di tutti noi che siamo cresciuti a Milano. Altra invettiva furente e un po’ buttata lì, come dal vetro di una portineria da dove un saggio portiere guarda il passaggio di troppi brutti ceffi e scuote sconsolato la testa. Ma in fondo ci ride anche un po’ su.
TU, QUANTO TEMPO HAI?
Entra di diritto nel novero dei capolavori vecchioniani: potente, commovente, emozionante. Un pendolo ritmico perfetto fra pianoforte, archi e batteria, un titolo emblematico della raggiunta, forse amara, maturità. “E tu, quanto tempo hai?/tu, quanto amore hai?” Si può restare indifferenti a domande così importanti, specie se dipanate lungo una melodia verdiano-napoletana così struggente?
IL CIELO DI AUSTERLITZ
Si vede che le stelle dicono “Guerra e pace” di Tolstoj. Perché questa splendida ballata ispirata al grande romanzo del maestro russo avrebbe potuto figurare alla perfezione nella colonna sonora del grande film televisivo che proprio quest’autunno invaderà gli schermi tv di tutta Europa. Vecchioni, avvolto dai sapori cajkovskiani di Fariselli, si mette nei panni del principe Andrei Bolskonskij, ferito e disilluso dalla guerra perduta contro Napoleone: “Come è lontano, Dio, lontano il cielo/da tutto quello che ho creduto vero”. Mestiere, intensità, letteratura, senso di Dio e dell’umana pietà: un Vecchioni superlativo, definitivo come un classico.
IL VIOLINISTA SUL TETTO
Ancora ironia e sberleffo, e grande perizia linguistica. Il modello è la canzone popolare e Vecchioni ci si immedesima alla grande. Dominano l’irriverenza e il divertimento, in un catalogo di invenzioni che mostra il grande mestiere di versificatore del nostro. Ed è forse anche il più spumeggiante degli splendidi arrangiamenti di Lucio Fabbri. La parte della madre, a sorpresa, è affidata a una divertita Teresa De Sio, che vi aggiunge un di più di irruenza e di allegra napoletanità. Praticamente un antidoto alla tristezza.
LE ROSE BLU
Della voce di Roberto Vecchioni, fin qui non abbiamo detto. Lo diciamo per questa ballata del dolore segreto, quasi una preghiera al destino affinché muti il suo sguardo su di noi. E’ qui che Vecchioni dà il meglio di sé, è qui che parla al cuore e alla pancia, avvolto solo dal soffio di un corno e da intensissimi archi. Lasciamo a chi ascolta di cogliere la voce segreta di questi versi tristi e appassionati, fra i più belli che Vecchioni abbia mai scritto.