Novità dal mondo indie: Kelley Stoltz, Band Of Horses, Feldmann, Controller.Controller
Kelley Stoltz “Below the Branches” (Sub Pop, 2006) – Una chicca che farà contenta soprattutto quella parte del pubblico più avvezza a certo rock psicotropo. Polistrumentista amante dell’home-recoding, Kelley Stoltz prosegue sul percorso tracciato dal precedente “Antique Glow”, riempiendo il suo nuovo album di canzoni scritte con approccio freak. Perché “Below the Branches” possa risultare piacevole occorre predisporsi al viaggio nella maniera più lasciva possibile; slacciare le cinture e farsi sballottare di qua e di là da un trip che sembra non conoscere coordinate precise; tutto è sospeso in un rifiuto cosmico della realtà. Sia il blues di “Birdies Singing” che il folk indolente di “No World Like the World” suonano lontani chilometri dalla nostra dimensione spazio-temporale. Ogni romanticheria è strozzata dall’acido, anche quando la melodia prende il sopravvento (“Words”, “Winter Girl”). La voce filtrata sembra arrivare da parecchi decenni fa, tanto che diversi brani sembrano standard del blues (“Wave Goodbye”, “Memory Collector”) o classici della psichedelia stile flower power (“The Rabbit Hugged the Hound”). Echi di: Frank Zappa, Doors, Pink Floyd, Jefferson Airplane, Beach Boys.
Band Of Horses “Everything All The Time” (Sub Pop, 2006) – Vengono da Seattle e nascono dalle ceneri dei Carissa’s Weird. Revivalisti, romantici e disperati, i Band Of Horses hanno pubblicato un album di debutto che lascia il segno: canzoni brevi per lo più, attorno ai tre minuti, che piaceranno a chi ha apprezzato il recente album dei The Elected, a chi ama il suono dell’America e non cerca altro che un’autostrada dritta su cui involarsi verso gli scenari vasti dell’anima più profonda di un continente, di una vita, di un uomo. C’è una tensione al sogno in queste canzoni, una speranza fragile e onesta. Una dolcezza senza tempo di cui Ben Bridwell si fa interprete con la sua voce stridula, avvicinabile per molti versi a quelle di Wayne Coyne (Flaming Lips) e Jonathan Donahue (Mercury Rev). I Band Of Horses sanno fare male, soprattutto in “The Funeral”, dove Ben sputa fuori cuore e polmoni; sanno convincere con un puro country, “I Go to the Barn Because I Like the”, con una chitarra bottleneck che lacrima di malinconia; ma sanno essere anche frizzanti ed estivi (“Part One”), addirittura festaioli (“Weed Party”). Quando l’acustica “St. Augustine” chiude il disco con la sua purezza rurale, viene subito voglia di riascoltare tutto da capo. Echi di: Calexico, The Elected, Okkervill River, Beach Boys.
Feldmann “Watering Trees” (Stoutmusic/Shinseiki, 2006) – Tazio Iacobacci e Massimo Ferrarotto sono due musicisti catanesi dalla lunga esperienza e dalla sensibilità musicale affine che, con l’aiuto di Cesare Basile, loro concittadino, hanno registrato gli undici pezzi che compongono l’esordio “Watering Trees”. Quelle dei Feldmann sono ballate disadorne, spesso solo con le chitarre e le voci di Tazio e Massimo che, incrociandosi, disegnano un’armonia sempre sul filo della fragilità. Tra atmosfere new acoustic e passaggi più dark, “Waterin Trees” lascia in bocca lo stesso sapore di una scampagnata tra innamorati in cui non tutto va per il verso giusto. Malinconia? Disagio? Entrambe le sensazioni, e non solo. Ci sono arpeggi lievissimi (“Golden ring”), canzoni d’amore buie (“A little song for Aixa”), scarne ferite acustiche (“Black eyes” e soprattutto l’intensa “I loved you” in chusura), episodi che mostrano l’apprezzamento per i blues di Hugo Race (“Bloos 354”, “Queen of fools”). A convincere maggiormente sono però i pezzi posti in apertura: “A cup of tea”, dolcissima; “Come closer”, con le stesse atmosfere di un disco griffato Chemikal Undeground; “Like Jesus said”, la traccia più sontuosa. Echi di: Cesare Basile, Hugo Race + True Spirit, Pink Floyd, Songs For Ulan.
Controller.Controller “X-Amounts” (Paper Bag/Audioglobe, 2006) – E’ da diversi mesi ormai che il Canada sta proponendo una scena rock tra le più attive ed interessanti. Ora arrivano questi Controller.Controller, che avevano esordito nel 2004 con l’ep “History”, col primo album vero e proprio. “X-Amounts” ha un suono nervoso, con la voce monotonale e i beats giusti: facile immaginare un ballo meccanico dentro un buco di discoteca fuori città, immerso in un bagno di sudore. Le somiglianze con i nomi più cool degli ultimi mesi, Bloc Party e Franz Ferdinand – con i quali hanno anche condiviso il palco – ma anche, di riflesso, White Stripes, ci sono tutte e, nello stesso tempo, i Controller.Controller fanno del loro meglio per condire il post-punk con una palpitante attitudine dance. Disco-punk? Sì, merito soprattutto dell’eccezionale sezione ritmica (Jeff Scheven, batteria, e Ronnie Morris, basso). “Tigers not Daughters”, “Rooms”, “Future Turtles”, “City of Daggers” sono fulgidi esempi della spersonalizzazione della gioventù elettronica di inizio millennio. Quando il rock’n’roll sfodera linee di basso così incalzanti, un drumming martellante, riff ipnotici e una qualità delle composizioni mai al di sotto della sufficienza, il risultato è elettrizzante. “X-Amounts” potrebbe essere la colonna sonora ideale per l’adolescenza stonata. Echi di: Mother and the Addicts, Franz Ferdinand, The Bravery, Bloc Party, The Rapture.
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