BENESSERE E SALUTE
Legge 210/92.
risvolti sociali

Il 25 febbraio 1992, in perfetta coincidenza con lo scandalo Poggiolini, nasce anche in Italia una legge finalizzata ad erogare ai soggetti danneggiati per aver contratto malattie virali attraverso trasfusioni di sangue e vaccinazioni o attraverso il contatto con il sangue e derivati avvenuto in occasione di attività di servizio, un “ristoro economico”. In quasi tutti i paesi avanzati esisteva già una legge che prevedeva ciò, in Italia sembra sia stata, invece, la conseguenza o meglio il contentino in un momento di grande rabbia sociale. La legge di cui si parla è la 210 che nel titolo cosi dispone: “Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie trasfusioni e somministrazioni di emoderivati”. Si parla di indennizzo e non di risarcimento. “Ristoro” dovuto dunque indipendentemente dal risarcimento in senso proprio che potrà eventualmente essere richiesto dall’interessato ove ricorrano le condizioni previste dall’articolo 2043 del codice civile. E mentre la tutela contro l’illecito predisposta dall’articolo succitato ha necessariamente effetti risarcitori pieni anche del danno alla salute in quanto tale, non altrettanto è per l’indennizzo in questione, il quale prescinde dalla colpa e deriva dall’inderogabile dovere di solidarietà che, in questi casi, incombe sull’inera collettività e, per essa, sullo Stato.
L’intento dei nostri legislatori è apprezzabile ma pur essendo di notevole rilievo sociale non manca di suscitare perplessità sia di ordine generale, ma soprattutto applicativo. In effetti la normativa suscita suggestioni di indennizzo ma lascia lacune di tutela. Per fare alcuni esempi, risulta che l’indennizzo è sicuramente esigibile da coloro che già usufruiscono di altro e diverso ristoro economico al manifestarsi del danno perché in questi casi il rapporto causale fra la malattia e la trasmissione da parte di materiale infetto è già dimostrato. Altre malattie infettive a prognosi grave o infausta, il cui contagio si determina in circostanze di tempo e di luogo non dissimili da quelle previste in normativa (ad esempio la legge non contempla il contagio attraverso trapianto di organi, inseminazione artificiale con seme infetto, emodialisi), pur con modalità diverse dalla via ematica (ad esempio per l’operatore sanitario si omette di considerare possibilità di contagio attraverso il contagio con materiali biologici non ematici quali il liquido cerebrospinale, il liquido amniotico, il liquido seminale, saliva, urina ecc.), sono incomprensibilmente escluse dall’oggetto di tutela. Il legislatore, dunque, ha posto l’attenzione a due sole patologie a genesi infettiva, l’infezione da virus Hiv e l’epatite post-trasfusionale dimostrando ancora una volta come la legge sia stata la conseguenza di una pressione legata a contingenze di moda piuttosto che di un disegno logico e coerente.
Ma neanche per i casi che la legge ha diligentemente contemplato le cose procedono alla perfezione. Lo sanno bene le Commissioni mediche ospedaliere (Cmo) istituite e regolarmente funzionanti presso i Policlinici e/o Istituti di Medicina legale delle Forze Armate, nella loro sezione civile, che hanno il compito di esprimere il giudizio medico-legale in base alla documentazione attestante gli accertamenti eseguiti. Le difficoltà nascono dal fatto che all’entrata in vigore della legge, le previste direttive e applicative che avrebbero dovuto rapidamente seguirla sono pervenute in realtà in tempi assai lunghi (la prima applicativa è stata formulata dopo tre anni). Così le Cmo hanno dovuto supplire al vuoto legislativo adattandosi alla locale realtà territoriale. Ciò ha comportato, inevitabilmente, l’adozione di criteri non uniformi di valutazione e di giudizio. Non solo, la mancanza di direttive da parte del Ministero della sanità non ha permesso univocità sulle istruttorie delle pratiche alle Asl, sulla graduatoria, sul concetto di danno irreversibile. Se a tutto ciò si aggiunge che i membri delle Cmo sono ufficiali medici militari molto impegnati nelle missioni all’estero, si comprende bene il sovraccarico incarichi che grava su questi organi. Tra le conseguenze, l’enorme ritardo nel disbrigo delle pratiche.
Bisogna riconoscere però che qualche realtà territoriale emerge per efficienza, tra queste la Cmo dell’Istituto di Medicina Legale delle Forze Armate di Chieti che attualmente sta esaminando le pratiche di maggio 2002. «Il grosso del problema – afferma un ufficiale medico della Com – si è creato per problemi di legge, nel 1996. Nella confusione del momento le pratiche arrivavano addirittura alle Giunte. Così se ne accumularono a migliaia. Da noi ne arrivavano una sessantina ogni mese. Ora invece la media è di una dozzina». Il primo luglio 1996 accadde che furono apportate sostanziali modifiche alla legge 210 con il decreto legge 344 che introduce nel complesso iter di svolgimento delle pratiche la figura dell’azienda Asl. Tale comma prevede che tutte le nuove domande inoltrate al Ministero della sanità, più tutte quelle già presentate alla data del 2 luglio 1996, ma non ancora istruite (e parliamo di quelle con numero di protocollo da diecimila in su) dovevano essere inviate alle Asl competenti per territorio di residenza dell’istante, le quali Asl, provvedevano all’istruttoria delle medesime. Ma il 23 ottobre 1996 a complicare ulteriormente la situazione, venne emanato il decreto legge 548 il quale prevede che sarebbe stato di nuovo il Ministero della sanità, tramite l’Ufficio speciale legge 210, a recepire le nuove domande. Riguardo tale ufficio è interessante sapere che ha lo stesso organico di quando le pratiche erano solo settemila e non esisteva tutto il contenzioso, i ricorsi, gli arretrati da pagare e le trentamila pratiche che nel frattempo si sono aggiunte.
Tornando alle Cmo, abbiamo detto che la legge prevede che debbano redigere un giudizio diagnostico sulle infermità e sulle lesioni riscontrate in base agli accertamenti eseguiti e che debbano esprimere un parere sul nesso causale tra le infermità o le lesioni e la vaccinazione, la trasfusione, la somministrazione di emoderivati, il contatto con il sangue e derivati avvenuto in occasione di attività di servizio. Ciò comporta qualche difficoltà. «E’ sempre problematica la dimostrazione del nesso causale – continua l’ufficiale medico – perché ci troviamo di fronte a quadri clinici dove i classici criteri di giudizio in tema di nesso di casualità ed in particolare i criteri cronologico e quantitativo risultano di scarso ausilio qualora si considerano la lunga incubazione delle epatiti virali, il periodo di latenza per l’insorgenza della sieropositività da Hiv, il lento e graduale sviluppo dell’infermità, le peculiari modalità di contagio spesso legate a specifiche abitudini di vita. Valutare una pratica richiede attenzione e indagine che va indietro nel tempo. Nei casi poi di vaccinazioni o trasfusioni fatte venti, trenta anni fa tutto diventa ancora più difficoltoso». A ciò si aggiunge l’ostacolo posto da altra norma cioè gli articoli 34 e 35 del decreto ministeriale del 27 dicembre 1990 che prevedono per la conservazione delle registrazioni tempi relativamente brevi. Nella fattispecie delle trasfusione, per quanto riguarda le registrazioni relative alle schede dei donatori, indagini prescritte dalla legge sulle unità di sangue, preparazione di emocomponenti e destinazione finale dell’unità di sangue e/o emocomponenti, la conservazione viene limitata ad almeno cinque anni. Ancora una volta è il buon senso che supplisce al macchinoso ingranaggio legislativo. «Laddove c’è un margine interpretativo della legge – conclude l’ufficiale medico – l’orientamento è sempre quello di lasciare aperte le porte a favore delle persone facendo in modo che il danno diventi comunque ascrivibile con la possibilità in un secondo momento di richiedere l’aggravamento».
In definitiva e per concludere, l’impressione che la legge 210 evoca è quella di un provvedimento superficiale e lacunoso, sicuramente ispirato da encomiabili finalità ma che risulta solo un debole palliativo nei confronti delle situazioni che avrebbe inteso tutelare. La speranza per il futuro è che il legislatore si muoverà per proporre una formula di legge davvero innovativa che esprima veramente impegno e solidarietà collettiva.

Nicoletta Amadio


Benessere e Salute, 04-08-2003