Influenza aviaria e sicurezza alimentare
Un’altra occasione perduta per dimostrare maturità ed esperienza

Ci risiamo. Ancora una volta il settore delle carni, soprattutto in Italia, è colpito da una profonda crisi nei consumi, dovuta al forte allarmismo dilagante a causa della così detta “influenza dei polli”.
Sembra di rivivere i mesi della fobia da “mucca pazza”, nei quali si videro dimezzati i consumi di carne bovina in Italia, dato paradossale soprattutto se si considera che il focolaio della BSE (Encefalopatia spongiforme bovina) fu l’Inghilterra, dove curiosamente la contrazione dei consumi fu non solo più contenuta, ma durò quelle poche settimane “fisiologiche”.
Ciò dovrebbe farci pensare se non sia un vizio tutto italiano quello di ingigantire i problemi, diffondere l’inquietudine e alimentare la paura, in una sorta di prassi masochistica che prende piede soprattutto quando si parla di cibo e vino, i nostri gioiellini di famiglia.
Il -50% (stima cauta) della domanda ha infatti profondi impatti non solo sulla nostra economia, ma anche a livello territoriale e sociale; la caduta a picco dei prezzi per il pollame (-40%) nel nostro Paese deve fare i conti con i modesti -2% e -2,5% di Inghilterra e Francia, senza considerare addirittura il +4% della Germania.
Allo stesso tempo cresce il rischio di eccessive speculazioni sui farmaci, che come sempre sono visti quale panacea di tutti i mali; l’autorizzazione all’acquisto di 6 milioni di farmaci antivirali e addirittura la prenotazione di 36 milioni di dosi di vaccino sembrano più un’ottima opportunità per i falchi delle case farmaceutiche che una efficace misura d’intervento a tutela della salute dei consumatori.
Quest’ultima deve infatti essere garantita in primo luogo dalla sinergica attività istituzionale; a livello comunitario è dal marzo scorso che la Commissione europea è operativa attraverso il Comitato permanente catena alimentare, che a settembre ha definito le linee guida da seguire per far fronte al rischio virale, soprattutto nel temuto caso di mutazione dalla forma a bassa patogenicità (LPAI) alla forma influenzale ad alta patogenicità (HPAI, quella del virus H5N1).
Inoltre l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha informato (AHAW Panel), tramite comunicati consultabili sul sito www.efsa.eu.int , circa i fattori di rischio e le misure di prevenzione più idonee nei confronti dell’influenza aviaria.
A livello nazionale un tassello fondamentale è stato quello dell’obbligo (dal 17 ottobre) di etichettare le carni fresche di volatili con l’indicazione d’origine, che consente al consumatore di poter scegliere i prodotti in base alla provenienza e alla fiducia nei controlli svolti in ambito nazionale. Quest’ultimo aspetto risulta basilare per garantire una reale situazione di sicurezza alimentare: il sistema di controllo garantito dalla Pubblica Amministrazione deve essere rigoroso sia alle frontiere sia sugli animali vivi e sugli alimenti nelle singole fasi della filiera. L’intensificazione dell’attività ispettiva (anche attraverso il potenziamento dei NAS dei Carabinieri) rappresenta una risposta coerente con la necessità di valorizzare i primati qualitativi e sanitari nazionali; il tutto supportato dall’opera di indirizzo, coordinamento e consulenza del Comitato nazionale per la sicurezza alimentare (CNSA), che ad oggi ha escluso qualsiasi rischio per la salute dei consumatori.
Continuando a mangiare pollo “made in Italy”, non ci resta che evitare che il virus sia più mediatico che reale.

Francesco Serafini

Benessere e salute – domenica 13 novembre 2005, ore 21:46