Living Colour
“Live from CBGB’s”

Etichetta: Legacy / Epic
Brani: Cult of personality / Pride / Someone like you / Fight the fight / Funny vibe/ Sailin’ on / Information overload / Love rears its ugly head / Soldier’s blues / Open letter to a Landlord / Solace of you / Middle man / Little lies
Produttori: Vernon Reid & Jeff Magid

Li adoro questi concerti selvaggi al CBGB’s di New York. Qualche anno fa mi procurai, non senza difficoltà, un primitivo live dell’89 degli ultimi Pussy Galore, un frullato di rock’n’roll grezzo, punk e decostruzioni come solo il giovane Jon Spencer poteva e, tempo un paio di accordi, mi ritrovavo a saltare dentro l’infuocato 315 di Bleecker Street. Medesimo effetto fa questo live dei Living Colour, anch’esso imperdibile per l’alto tasso di genialità contenuto, che risale allo stesso anno. I Living Colour erano reduci dal successo dell’album “Vivid” che, nel 1988, aveva fatto stravedere pubblico e critica, ed avrebbero pubblicato di lì a breve l’altrettanto fortunato “Time’s up”, del quale vengono qui anticipati molti brani (“Pride”, “Infomation overload”, “Solace of you”, “Love rears its ugly head”).
Leader della band era un trentenne inglese cresciuto a Brooklyn, il chitarrista Vernon Reid: impostazione jazz-funk, solo secondariamente convertita al rock, Reid poteva considerarsi senza difficoltà il più grande chitarrista di colore dai tempi di Hendrix. Accanto a lui tre black-heroes di prima grandezza: Corey Glover, grande voce soul, il robusto bassista Muzz Skillings e il batterista William Calhoun, laureato al prestigioso Berklee College of Music.
Glover, Skillings, Calhoun e Reid suonavano un hardrock contaminato con tutto quello che passava loro per la testa, crossover e nu-metal erano cose di cui nessuno aveva mai sentito parlare, ma loro mischiavano funk, thrash, rhythm and blues con la facilità che il loro talento e la loro grande perizia tecnica permettevano, mantenendo però sempre la matrice “dura”, sia che sfociassero nel rap (“Funny vibe”), sia che provassero melodie pop (“Open letter to a Landlord”) o che si divertissero con ritmi tropicali (“Solace of you”). Durissimi anche i testi che, in un periodo, è bene ricordarlo, in cui i gruppi metal sembravano cantare soltanto di fighe, droga e macchine scappottate, trattavano temi come il razzismo, la violenza della polizia, la militanza nera, l’imperialismo americano. Chiaro che i Living Colour diventarono i paladini del cosiddetto rock impegnato al fianco di Pearl Jam e Rage Against The Machine, che sarebbero peraltro venuti dopo.
Ascoltati a quindici anni di distanza, classici come “Cult of personality”, “Pride” e “Middle man” appaiono più attuali che mai e fanno sfigurare tutti i presuntuosi imitatori pompati da Mtv. Ma, cavolo, questa recensione l’ho messa tutta al passato e invece i Living Colour, dopo sei o sette anni di pausa, sono oggi vivi e vegeti, come dimostrano il bellissimo “Colleidoscope”, l’album col quale sono tornati sulla scena rock nel 2003, e il tour italiano dello scorso anno che ci ha dato la conferma di come Reid sia sempre di più un tiranno delle sei corde e di come il pubblico non si sia disaffezionato al furore black di questo autentico supergruppo.

Leggi la recensione del concerto dei Living Colour al Mamamia di Senigallia (20.03.04):
http://www.ilmascalzone.it/cu92.htm


Pierluigi Lucadei

Recensioni – giovedì 10 marzo 2005, ore 16.46