Viaggio nei bar di tutta Europa con Elliot Murphy
Il rocker americano parla di “Note al caffè”

Nell’ultimo film di Jim Jarmusch, “Coffee and cigarettes”, c’è un episodio in cui, attorno al piccolo tavolo di un bar, si trovano a parlare Tom Waits e Iggy Pop. Ecco, in mezzo a loro Elliot Murphy avrebbe fatto la sua porca figura. La sua rccolta di racconti, “Note al caffè”, viaggia sulla stessa lunghezza d’onda del cinema di Jarmusch, oltre che della narrativa di Raymond Carver, e questo è uno dei motivi per i quali al sottoscritto, che non ha mai fatto mancare venerazione a Jarmusch, a Carver e al loro immenso “raccontare niente”, questo libro di Murphy è piaciuto tanto. Un altro motivo sta nel fatto che tra tante rockstar che vorrebbero avere in libreria una seconda casa, pubblicando spesso libri pretestuosi, Murphy è uno dei pochi con l’autorità e il talento adatti per addentrarsi nel mondo letterario senza dover per forza ringraziare il suo status di star. Per chi non lo conoscesse, Murphy è, ad ogni modo, un grande rocker. Nella sua trentennale carriera ha inciso più di venti album e collaborato con artisti del calibro di Bruce Springsteen (il loro duetto, “Everything I do”, è negli USA tra i brani più scaricati da internet), Billy Joel, Velvet Underground, Talking Heads. Quando non è in tour, Murphy vive a Parigi e l’atmosfera dei caffè letterari della capitale francese deve aver molto influenzato i racconti di “Note al caffè”, tredici storie ambientate in altrettanti bar sparsi per l’Europa, dalla stessa Parigi, a Mosca, Venezia, Bruxelles, Praga. In “The New Wave Coffee Shop”, che a differenza degli altri racconti è ambientato in America, a New York, un fattorino ventenne conosce una famosa modella nel bar di suo zio, nell’Upper East Side di Manhattan; ne “Il Caffe’ di Starck” un ragazzo arriva a Parigi per cercare la sua rockstar preferita e scoprire perché ha smesso di suonare; in “Ritorno al Caffè Florian”, due vecchi poeti, ex amanti, si rivedono in Veneto dopo molto tempo e si rivelano segreti imprevisti. Storie piccole, come gusci sottili e fragili, con dentro un raggio di luce. L’azione si limita, nella maggior parte dei casi, ad uno scambio di battute davanti ad una tazza di caffè e spesso, alla fine del racconto, ci si trova al punto di partenza o solo leggermente più in là, come in un moto ellittico che non consente spostamenti troppo rapidi, come in Carver, come, ancor di più, in Jarmusch. E c’è anche l’ombra lunga di Hemingway che si aggira per tutto il libro: il grande scrittore americano viene citato, preso a modello e come fonte di ispirazione (“…sembrava tutto così semplice: come aveva fatto Hemingway, trovare un caffè ben illuminato, ben riscaldato, matite e tanta carta, bere dei caffè neri e lasciare che le idee nascessero…”). E provate a leggere i racconti di Murphy ad alta voce: vi renderete conto della musicalità di cui sono impregnati: ognuna di queste tredici somiglia ad una malinconica ballata sulla solitudine.


Pierluigi Lucadei


ELLIOT MURPHY – “Note al caffè” (Fbe edizioni, 2004)
Pag. 136, euro 12

La parola all’autore:

“L’idea del libro è nata dalla noia”, ci dice Elliot Murphy presentando il libro. “Sono un musicista e passo tanto tempo sulla strada, nelle camere d’albergo ed è lì che generalmente compongo le canzoni. Ma trascorro anche tanto tempo nei caffè e lì non faccio altro che aspettare: ero seduto in un caffè di Salamanca, in Spagna, cinque anni fa, e iniziai a scrivere dietro un cartoncino pubblicitario; poi ho preso appunti nei caffè d’Europa per due o tre anni. Un mio caro amico, un poeta francese, stava facendo partire una nuova collezione per la sua casa editrice, la Hachette, e mi ha chiesto se avevo qualcosa di scritto, così io gli diedi le mie “Note al caffè”. Sono sempre stato un appassionato di racconti brevi perché sono uno scrittore di canzoni e le canzoni, come sapete, durano tre o quattro minuti, e così anche i miei racconti si leggono in quattro minuti”. Riguardo al racconto di “Note al caffè” che preferisce dice: “forse il primo racconto, “Il Caffè di Starck”, che è anche quello più autobiografico; è la storia di una rockstar americana che si è trasferita in Francia e che ha chiuso con la musica”. E sul perché Elliot Murphy abbia scelto proprio Parigi come città in cui vivere aggiunge: “volevo scoprire la città dove avevano vissuto Hemingway, Scott Fitzgerald, Henry Miller; poi quando sono arrivato io, negli anni Settanta, Parigi era molto economica, oggi invece è carissima”. Murphy si illumina quando gli chiedo del film di Jarmusch, “Coffee and cigarettes”, e dell’episodio con Tom Waits e Iggy Pop. “Io penso che Jim Jarmusch legga la mia mente”, dice, “lui, tra gli altri, ha fatto anche quel film su un cowboy che si chiamava William Blake (“Dead Man”, n.d.r.) e il mio prossimo libro sarà un western in cui il protagonista è un ammiratore di Walt Whitman. Per quanto riguarda “Coffee and cigarettes”, credo per me il titolo non andasse bene perché io non fumo, magari avrebbe potuto essere “Coffee and pens” (ride). Comunque il mio episodio preferito è proprio quello con Tom Waits e Iggy Pop”. Qui ci svela la sua ammirazione per Waits e un curioso aneddoto su di lui: “sono un grande fan di Tom Waits. Negli anni Ottanta mi è capitato anche di intervistarlo per ‘Rolling Stone’ e fu un’intervista fantastica finchè non scoprimmo che ci aveva detto tutte bugie. Per esempio, era da poco nato suo figlio e io gli chiesi come l’avesse chiamato, lui disse ‘Senator’. ‘Senator Waits?’ chiesi io, ‘Sì, Senator, ma non sono molto contento’, ‘E perché non sei contento?’, ‘Ma perché io volevo chiamarlo President, mia moglie però ha insistito per Senator’. Poi invece abbiamo scoperto che a suo figlio aveva dato un nome assolutamente normale, come Steve, o Mark, non ricordo”.

P.L.

Recensioni – domenica 13 feb. 05, ore 13.06