Bruce Springsteen - San Siro (Milano) - 28/6/03

Sarà stata la pioggia, sarà stata la complicità del pubblico italiano, sarà stata la passione del Boss per Milano, sarà stata la scaletta da brividi, sarà stato il finale con la splendida immortale “Rosalita”, ma il concerto di San Siro del 28 Giugno 2003 sarà ricordato come il più bello di Springsteen in Italia. Più di quel San Siro ’85 che i fans meno giovani si vantano tanto di aver visto e che proprio Springsteen ha ricordato. Il concerto inizia alle 20.15 quando sulle note di “C’era una volta in America” di Ennio Morricone salgono sul palco Bruce e la E Street Band. San Siro è in fiamme, ovunque braccia al cielo e cuori in palpitazione. L’armonica del Boss attacca “The Promised Land”, ed è il delirio, un grande inizio, una garanzia che il concerto sarà di quelli che non si dimenticano. Poi “The Rising” e “Lonesome Day”, “My Love Will Not Let You Down”, la splendida “Darkness on the Edge of Town” e “Empty Sky”. In cielo iniziano a farsi vedere i primi lampi, mentre giù nella terra un uomo sta facendo impazzire sessantamila persone. Commuove “The River”, per come unisce intere generazioni: <<we went down to the river and into the river we'd dive >> cantano tutti in coro, quelli che ci sono cresciuti, e quelli che, come me, nel 1980 non erano ancora nati. E proprio sull’armonica di “The River” scoppia impietoso e provvidenziale il diluvio. Impietoso perché si rovescia con sadismo sulle persone del prato, provvidenziale perché Bruce lo trasforma in un evento memorabile: intona “Waitin' on a Sunny Day” e “Who'll Stop the Rain” sotto la pioggia battente correndo da una parte all’altra del palco mandando in delirio i presenti. Seguono “Growin' Up”, splendida dall’alto dei suoi 30 anni di età, “Worlds Apart” e “Badlands”, magnifica come al solito. Poi “Out in the Street”, energica, vibrante, da brivido e “Mary’s Place”. La prima sorpresa della serata è la presleyana “Follow that Dream”, eseguita per la prima volta durante questo tour. E’ poi “Thunder Road” a mettere a dura prova le coronarie degli spettatori, il momento è magico, gli occhi si fanno lucidi. Si prosegue con “Into the Fire” e “No Surrender”, un’autentica bomba che scalda i cuori dei fans. San Siro esplode, è un tripudio di mani agitate al cielo. Una breve pausa, meritata, sia da loro che da noi. Si riparte con “Bobby Jean”, con l’onda delle mani che accompagna la chitarra del Boss, “Ramrod”, che riesce a far ballare anche le fondamenta dello stadio, e la splendida immancabile “Born to Run”, che unisce almeno tre generazioni di balordi. La band è in serata di grazia: il sassofono di Clarence Clemons toglie il respiro, Max Weinberg alla batteria è un polmone inesauribile, le chitarre di Little Steven e di Nils Lofgren tagliano l’aria. C’è il tempo per un altro paio di canzoni: Springsteen al piano intona “My City of Ruins” e Little Steven si esibisce al mandolino in “Land of Hope and Dream”. “Dancing in the Dark” fa ballare e cantare tutti. Nel frattempo ha smesso di piovere: anche il cielo si è fermato, lo spettacolo di questo ragazzo di cinquantatre anni ha commosso anche lui. <<Spread out now Rosie, doctor come cut loose her mama's reins >> intona il Boss. Il pubblico è incredulo: è “Rosalita”, la canzone che una volta chiudeva tutti i concerti ma che in Europa mancava dal 1985. Il Boss sorride, sa di aver fatto un regalo prezioso ai suoi fans italiani, che lo ringraziano con tutto il calore che hanno ancora in corpo. Il concerto è finito. La E Street Band abbandona il palco. Springsteen, asciugamano al collo, si sofferma un attimo nel tunnel a godersi l’amore che l’Italia gli dona. Qualche saluto, tanta commozione e la consapevolezza che questa volta si è fatto un grande passo nella storia del rock.

Claudio Palestini

Recensioni 01/07/2003