Il Combo Farango
“Non lo faccio più”
“Il Combo Farango suona male in un bordello a ore, sebbene
sia schiavitù, è l’unico lavoro che a noi faranghi fanno
fa”: così i cinque musicisti ribattezzatisi Il Combo Farango
cantano di sé stessi, rendendo bene l’idea. Però quel
“suona male”: niente di più falso. Michele Vietri, Giulio
Oliverio, Domenico Caliri, Milko Merloni, Max D’Adda sono artisti sublimi.
Su tutti Caliri (chitarra elettrica e “mostresca”), che ha al
suo attivo collaborazioni con Enrico Rava, Lester Bowie, Paolo Fresu, Kenny
Wheeler, Richard Galliano. “Non lo faccio più” è
l’album di debutto e colloca Il Combo in un’area privilegiata
del panorama musicale, quella in cui i generi sono solo recinti da scavalcare,
le convenzioni inutili orpelli di cui spogliarsi quando viene sera, i confini
geografici linguistici culturali roba di cui non si sospetta nemmeno l’esistenza.
Meticciato sentimentale. Ascolti “Mamma Schiavona” e non sai se
imaginare il mare di Capri o quello di Genova, se sentirti un ubriaco a spasso
per L’Avana o un pazzo perso a Bahia. “Zona gialla zona rossa”
è l’omaggio de Il Combo ai fatti del G8 di tre anni fa, un omaggio
fatto con leggerezza (“non picchiarmi no, non insultarmi no, e non sputare
sulla brutta faccia mia”, “in piedi contro il muro se crollo pagherò,
senza poter mangiare un po’, sono ventiquattrore che non ci fanno far
pipì”) che la retorica finale (“ma seviziandomi almeno
guardami negli occhi perché sono dolci, e pensa ai mille tuoi soprusi…
il mondo forse cambierà”) scalfisce appena. “Abbasso Nixon”
dei Tetes de Bois ha quattro mesi di vita ed è già un inno,
chissà che anche “Zona gialla zona rossa”, che viaggia
sugli stessi binari, non lo diventi presto. “Come sempre” è
una ballata malinconica con le dita spruzzate di jazz, con versi dolci e ammalianti,
come quel “e scorrono ricordi che mai” che Michele Vietri canta
come se fosse Gino Paoli. E come fare a schiodarsi dalla mente Paolo Conte
mentre ci si delizia con “Donna indimenticabile, ancor più desiderabile”,
un tango rauco e grave come il fumo di un sigaro, sei minuti e mezzo dove
si piange e si ride allo stesso tempo senza sentirsi folli o forse sì?
“E’ una musica di sangue misto e noi le smandrappone facciam bailar,
senza cachet ci tocca suona’, ma forse ci danno da mangia’”.
Pierluigi Lucadei
Recensioni – lunedì 15 novembre ’04, ore
23.05