Benjamin Lebert
“L’ultimo treno della notte”
Il secondo romanzo del poco più che ventenne Lebert è
ambientato su un treno notturno Monaco-Berlino. Due giovani sconosciuti si
trovano a dividere lo stesso scmpartimento e finiscono per passare la notte
svegli a parlare. In realtà è solo Henry che parla, Paul è
silenzioso e si limita ad ascoltare, preso, così pare, da pensieri
enormi.
Henry racconta la storia di un triangolo amoroso ad alto tasso di patologia.
Lui, una ragazza anoressica e un ragazzone obeso diventano complici per sfuggire
ciascuno la propria insopportabile condizione di solitudine; insieme condividono
chiacchiere, passeggiate, giri in macchina, musica: un’amicizia, insomma;
finché non giunge l’amore a scardinare il loro equilibrio.
Pessimista e intriso di tristezza, “L’ultimo treno della notte”
è un romanzo riuscito a metà. E’ una ballata sulla solitudine
che si lascia leggere tutta d’un fiato ma che non riesce a convincere.
Se sono perdonabili qualche teoria metafisica terra terra e alcuni slanci
filosofici di troppo, appare un errore ingenuamente grossolano la scelta di
un co-protagonista come Paul (tra l’altro narratore in prima persona)
che resta in disparte, assente ingiustificato, per tutto il romanzo, tranne
poi prendersi la rivincita nelle ultime venti pagine con una storia inverosimile
ed eccessiva. La ragazza a cui Paul sembra pensare, mentre Henry gli racconta
le vicende di sé e dei suoi amici, non è che una prostituta
di nome Mandy, che ha avuto con lui un solo incontro, sufficiente tuttavia
a farlo innamorare perdutamente. C’è anche un finalino-sorpresa
che rimarca, laddove non ce n’era bisogno, la desolazione che avvogle
la solitudine, quand’essa diventa malattia.
Quelli che… l’adolescenza è una ferita sempre aperta.
Pierluigi Lucadei
Recensioni – domenica 5 settembre 2004, ore 22.26