Tetes de Bois
“Pace e male”

A due anni di distanza dal bellissimo “Ferré, l’amore e la rivolta” (18000 copie vendute in Italia, 4000 in Francia), i Tetes de Bois tornano con un disco di fascino magnetico e bellezza corrosiva. Questi operai della canzone, talentuosi, disturbati, mai rassicuranti, con una lunga storia alle spalle che parla di Berlino, Parigi, di metropolitane e stazioni ferroviarie, sputano con irriverenza sullo stagno desolato della musica italiana. “Pace e male” è uno sputo irriverente. Andrea Satta ha una voce maledetta e, nelle vene, l’anarchia del poeta; la tromba di Luca De Carlo si lecca le ferite, riuscendo a non piangere, ma solo a singhiozzare di follia.
“Abbasso Nixon” è dedicata alla memoria dei compagni morti alle manifestazioni: amore, furia cieca, forza d’ideale, morte (“poi io ti ho rivista/foto sul giornale/fuga nella notte/inseguita come un cane/proiettili di ghiaccio/dritti verso il cuore/è morta per errore/non ci voglio stare”). “Le rane”, cantata con Daniele Silvestri, è la canzone che avrebbe scritto De Gregori se fosse stato allucinato e ubriaco, “E così sia” è una lama di coltello che non ha paura di affondare nel dolore, con quel ritornello grondante sangue (“esseri viventi, averi morenti”), a dir poco geniale, che calzerebbe alla perfezione le corde vocali di Lindo Ferretti. Colpiscono la dolcezza di “Pezzi di cielo” e la malinconia de “La canzone del ciclista”, l’originalità delle reinterpretazioni di “Amore che vieni, amore che vai” e “Cette blessure”, e poi “Ondulava” (che mette in musica versi di Dino Campana), forse il pezzo migliore della raccolta, assolutamente irresistibile. E’ una quotidianità impropria quella che si respira in queste tracce, il suo olezzo portato da un vento che “si prende gioco di vecchi amanti/e li spazza via”. Baudelaire che attizza le fiamme insieme a Léo Ferré, in un girone qualsiasi dell’inferno. Paoli a braccetto con i CCCP. Les fleurs du mal. Pace e male.


Pierluigi Lucadei

Recensioni – lunedì 2 agosto 2004, ore 20.03