John Cheever è stato un pregevole autore di racconti, i più famosi dei quali, quelli di “The stories of John Cheever”, gli valsero il Premio Pulitzer alla fine degli anni Settanta. Da quella raccolta sono tratte le cinque storie di “Oh città dei sogni infranti!”. Sono ritratti di uomini qualunque, perdenti per forza di cose, sopraffatti dal peso di quella quotidianità in cui per loro ci saranno sempre e soltanto ruoli da comparsa. Eppure strenuo è, a volte, lo sforzo di lasciarsi alle spalle il quotidiano, giocando tutte in una volta le proprie carte e stuzzicando la fortuna. Come dire, i personaggi di Cheever sono coraggiosi, a loro modo. Ma la loro tragicità è così palpabile che il lettore sa già dall’inizio che i loro desideri sono destinati a non avverarsi mai. C’è una sorte infame che pare divertirsi a bruciare le ali ai vari Ewarts, Cash, Hartley, ogni volta che questi tentano di spiccare il balzo. Risaltano, tra i cinque racconti qui contenuti, gli ultimi due. “La terapia”, l’unico in prima persona, è l’ennesimo ritratto di un matrimonio in crisi, tratteggiato con un registro a metà strada tra il gotico e il comico. Il guardone che fa visita ogni notte all’insonne protagonista abbandonato dalla moglie, fa ridere più che terrorizzare. E riesce anche a farsi compatire: “arrivai addirittura a provare compassione per quel povero vecchio costretto dalla demenza senile a vagare nella notte in un quartiere sconosciuto, alla mercé di cani e poliziotti, con l’unica e misera gratificazione di poter infine spiare un uomo con un libro in mano o una donna che dava lo sciroppo al figlio malato o qualcuno che mangiava chili con carne davanti al frigorifero aperto”. “La casta Clarissa” è, invece, il resoconto di un corteggiamento: quello del donnaiolo Baxter, avaro e spregiudicato, ai “danni” della bella Clarissa, timida moglie di Bob, concittadino di Baxter momentaneamente in Francia in missione governativa. La ragazza tiene duro di fronte alle avanches sfacciate dell’uomo, ma il cinismo di Baxter è così luccicante che una persona malata di solitudine non può resistere a lungo. L’andamento ciondolante e sottilmente sensuale di queste pagine lascia pensare che la castità della ragazza sia “appesa a un filo”. E Cheever se la ride: “niente di più facile”, ghigna alla fine. Le cinque storie hanno tutte per sfondo la provincia americana con le sue crepe e i suoi buchi neri, e spesso fa capolino lo skyline di New York, non una città ma un’occasione, anzi, un mare di occasioni. Incertezze e difficoltà economiche vengono dimenticate presto se la sirena della metropoli inizia a suonare e Evarts Malloy, protagonista del racconto che da il titolo al libro, è l’esempio più fulgido di come la speranza di un riscatto sociale si risolva facilmente in un mesto pugno di delusioni e beffe.
Pierluigi Lucadei
Recensioni – sabato 21 febbraio 2004, ore 12.49