God save Negrita. Dio salvi
il rock’n’roll. E’ partito il Club Tour della band aretina,
paladina nostrana di quella musica zeppa di riferimenti al torrido sud
degli States e agli sporchi riff di matrice stoniana. Rock e blues inzuppati
in una furiosa ritmica funk, questa la ricetta dei Negrita, che da dieci
anni portano in ogni angolo d’Italia il loro show di travolgente
energia, raccogliendo ogni volta decine di ammiratori entusiasti in più.
“Cambio”, “Transalcolico”, “A modo mio”
sono autentiche iniezioni di adrenalina, “Io sono”, “Hollywood”,
“Ho imparato a sognare” carezze per il cuore, e poi c’è
“Sex”, capace, una volta cantata ballata saltata e sudata,
di trasformare ogni semplice appassionato in fan a vita.
Abbiamo incontrato Pau, cantante e fondatore del gruppo, prima del concerto
del 1 novembre al Mamamia di Senigallia.
- I Negrita sono in giro da dieci anni. Puoi fare un bilancio
di questo periodo?
Il bilancio è sicuramente positivo. Dieci anni non sono pochi,
specialmente per una band come la nostra, che non fa rock underground
ma neanche rock commerciale. Noi siamo una via di mezzo, non abbiamo mai
dato troppa soddisfazione né alle case discografiche né
agli amanti dell’underground ad ogni costo. Siamo poco identificabili,
quest’anno abbiamo suonato a Sanremo e al Leonkavallo. Sono stati
dieci anni sul filo del rasoio, a fare un po’ da spartiacque, comunque
contenti di farlo.
- Quest’anno avete dovuto far fronte all’abbandono
di Zama, il batterista dei Negrita sin dagli esordi.
E’ stato brutto perdere Zama, in primis per l’amicizia
che ci lega. Noi siamo innanzitutto una band di amici, e perdere un Negrita
ci sembrava impensabile. Poi, nonostante si possa credere che il batterista
sia l’elemento più facilmente sostituibile, non è
affatto così. Ti posso dire che per una band, soprattutto se rodata
come la nostra, un cambio di batterista equivale ad un cambio di cantante.
- I tre pezzi inediti del greatest hits suonano diversi dal vostro
disco precedente, più scanzonati direi. Sono da considerare indicativi
per quello che sarà il nuovo album dei Negrita?
Sono da considerare indicativi fino a un certo punto. Questi pezzi
li abbiamo scritti durante il tour di “Radio Zombie”. Noi
venivamo da un periodo difficile, la lavorazione di “Radio Zombie”
è stata lunga e snervante, era come se non riuscissimo a fare la
musica che volevamo. Per reazione a tutto questo, per toglierci di dosso
quell’atmosfera pesante che avevamo accumulato, durante il tour
abbiamo scritto sei canzoni volutamente più solari, più
positive. Tre di queste sono finite sul gratest hits, le altre tre sicuramente
troveranno posto nel prossimo album. Però ti dico che sono indicative
fino a un certo punto, perché, per il resto, non ho idea che direzione
possa prendere il disco.
- Verso la metà degli anni novanta c’è stato
un periodo molto fertile per il rock italiano, in cui uscivano tante nuove
band, tanti dischi importanti. Da qualche anno, invece, non vengono fuori
nuove rockband e a fare bei dischi sono sempre gli stessi gruppi, quelli,
appunto, che hanno esordito una decina d’anni fa. Che analisi puoi
fare di questa inversione di tendenza? Tutta colpa delle case discografiche
che non hanno più voglia di investire su gruppi emergenti?
E’ difficile dirlo. Nella prima metà degli anni novanta
c’era un clima completamente diverso. Nel panorama internazionale
erano gli anni di Seattle, e per chi faceva musica Seattle è stata
molto importante, ha significato una vera e propria rinascita del rock.
Anche le case discografiche italiane erano entrate nell’ordine di
idee che poteva nascere qualcosa che somigliasse ad un movimento. In Italia
però c’erano tante realtà, c’erano Milano, Firenze,
Bologna, Catania, ma non c’era un unico fenomeno che potesse trascinare
tutto il Paese. Lo sbaglio che è stato fatto da noi è stato
probabilmente quello di aver voluto considerare i gruppi di una generazione
come un fenomeno unico. In questo modo capitava che si accomunassero gli
Afterhours di Milano con i 99 Posse di Napoli, o i Negrita con i Casino
Royale, anche se questi gruppi non c’entravano un cazzo l’uno
con l’altro. Questo voler creare qualcosa in modo generalizzato
alla fine non ha portato a nulla, e nel giro di qualche anno si è
spento tutto.
- C’era qualche gruppo negli anni novanta che secondo te
avrebbe meritato un successo maggiore? Per esempio, so che eravate amici
dei Ritmo Tribale.
Lo siamo tuttora. Loro non esistono più come gruppo ma per
fortuna suonano ancora singolarmente. Sì, i Ritmo Tribale avrebbero
meritato di più. Insieme a loro direi i Karma.
- Com’è nata la canzone dedicata a Hemingway?
Siamo lettori abbastanza accaniti di Hemingway, soprattutto Drigo:
il testo della canzone è suo. Personalmente ho uno strano rapporto
con la lettura. Alterno periodi in cui divoro pile di libri a periodi
in cui un libro può infastidirmi alla sola vista. Comunque è
bello aver dedicato una canzone a Hemingway. Penso sia stato l’autore
che ha saputo rinnovare la letteratura internazionale, portandola alla
contemporaneità. Senza di Hemingway forse molti altri scrittori,
come i beat, Carver o i postmoderni, non ci sarebbero neanche stati. Poi
era un personaggio incredibile che ha vissuto una vita da rockstar.
- A quale band staccheresti volentieri la spina?
Da sobrio a nessuno. Dopo qualche Negroni, magari la staccherei ai
gruppi Nu Metal. Quelli proprio non riesco ad ascoltarli, mi fanno cagare.
Pierluigi Lucadei
Prossime date del tour dei Negrita: 7/11 Marghera(Ve); 8/11 Cesena; 11/11
Firenze; 14/11 Cortemaggiore(Pc); 15/11 Zingonia(Bg). Infoline tour: 055
5520575
Musica – 2 novembre 2003, ore 22.15
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