Musica Rock: al via il Club Tour 2003 dei NEGRITA
L’INTERVISTA

God save Negrita. Dio salvi il rock’n’roll. E’ partito il Club Tour della band aretina, paladina nostrana di quella musica zeppa di riferimenti al torrido sud degli States e agli sporchi riff di matrice stoniana. Rock e blues inzuppati in una furiosa ritmica funk, questa la ricetta dei Negrita, che da dieci anni portano in ogni angolo d’Italia il loro show di travolgente energia, raccogliendo ogni volta decine di ammiratori entusiasti in più. “Cambio”, “Transalcolico”, “A modo mio” sono autentiche iniezioni di adrenalina, “Io sono”, “Hollywood”, “Ho imparato a sognare” carezze per il cuore, e poi c’è “Sex”, capace, una volta cantata ballata saltata e sudata, di trasformare ogni semplice appassionato in fan a vita.
Abbiamo incontrato Pau, cantante e fondatore del gruppo, prima del concerto del 1 novembre al Mamamia di Senigallia.
- I Negrita sono in giro da dieci anni. Puoi fare un bilancio di questo periodo?
Il bilancio è sicuramente positivo. Dieci anni non sono pochi, specialmente per una band come la nostra, che non fa rock underground ma neanche rock commerciale. Noi siamo una via di mezzo, non abbiamo mai dato troppa soddisfazione né alle case discografiche né agli amanti dell’underground ad ogni costo. Siamo poco identificabili, quest’anno abbiamo suonato a Sanremo e al Leonkavallo. Sono stati dieci anni sul filo del rasoio, a fare un po’ da spartiacque, comunque contenti di farlo.
- Quest’anno avete dovuto far fronte all’abbandono di Zama, il batterista dei Negrita sin dagli esordi.
E’ stato brutto perdere Zama, in primis per l’amicizia che ci lega. Noi siamo innanzitutto una band di amici, e perdere un Negrita ci sembrava impensabile. Poi, nonostante si possa credere che il batterista sia l’elemento più facilmente sostituibile, non è affatto così. Ti posso dire che per una band, soprattutto se rodata come la nostra, un cambio di batterista equivale ad un cambio di cantante.
- I tre pezzi inediti del greatest hits suonano diversi dal vostro disco precedente, più scanzonati direi. Sono da considerare indicativi per quello che sarà il nuovo album dei Negrita?
Sono da considerare indicativi fino a un certo punto. Questi pezzi li abbiamo scritti durante il tour di “Radio Zombie”. Noi venivamo da un periodo difficile, la lavorazione di “Radio Zombie” è stata lunga e snervante, era come se non riuscissimo a fare la musica che volevamo. Per reazione a tutto questo, per toglierci di dosso quell’atmosfera pesante che avevamo accumulato, durante il tour abbiamo scritto sei canzoni volutamente più solari, più positive. Tre di queste sono finite sul gratest hits, le altre tre sicuramente troveranno posto nel prossimo album. Però ti dico che sono indicative fino a un certo punto, perché, per il resto, non ho idea che direzione possa prendere il disco.
- Verso la metà degli anni novanta c’è stato un periodo molto fertile per il rock italiano, in cui uscivano tante nuove band, tanti dischi importanti. Da qualche anno, invece, non vengono fuori nuove rockband e a fare bei dischi sono sempre gli stessi gruppi, quelli, appunto, che hanno esordito una decina d’anni fa. Che analisi puoi fare di questa inversione di tendenza? Tutta colpa delle case discografiche che non hanno più voglia di investire su gruppi emergenti?
E’ difficile dirlo. Nella prima metà degli anni novanta c’era un clima completamente diverso. Nel panorama internazionale erano gli anni di Seattle, e per chi faceva musica Seattle è stata molto importante, ha significato una vera e propria rinascita del rock. Anche le case discografiche italiane erano entrate nell’ordine di idee che poteva nascere qualcosa che somigliasse ad un movimento. In Italia però c’erano tante realtà, c’erano Milano, Firenze, Bologna, Catania, ma non c’era un unico fenomeno che potesse trascinare tutto il Paese. Lo sbaglio che è stato fatto da noi è stato probabilmente quello di aver voluto considerare i gruppi di una generazione come un fenomeno unico. In questo modo capitava che si accomunassero gli Afterhours di Milano con i 99 Posse di Napoli, o i Negrita con i Casino Royale, anche se questi gruppi non c’entravano un cazzo l’uno con l’altro. Questo voler creare qualcosa in modo generalizzato alla fine non ha portato a nulla, e nel giro di qualche anno si è spento tutto.
- C’era qualche gruppo negli anni novanta che secondo te avrebbe meritato un successo maggiore? Per esempio, so che eravate amici dei Ritmo Tribale.
Lo siamo tuttora. Loro non esistono più come gruppo ma per fortuna suonano ancora singolarmente. Sì, i Ritmo Tribale avrebbero meritato di più. Insieme a loro direi i Karma.
- Com’è nata la canzone dedicata a Hemingway?
Siamo lettori abbastanza accaniti di Hemingway, soprattutto Drigo: il testo della canzone è suo. Personalmente ho uno strano rapporto con la lettura. Alterno periodi in cui divoro pile di libri a periodi in cui un libro può infastidirmi alla sola vista. Comunque è bello aver dedicato una canzone a Hemingway. Penso sia stato l’autore che ha saputo rinnovare la letteratura internazionale, portandola alla contemporaneità. Senza di Hemingway forse molti altri scrittori, come i beat, Carver o i postmoderni, non ci sarebbero neanche stati. Poi era un personaggio incredibile che ha vissuto una vita da rockstar.
- A quale band staccheresti volentieri la spina?
Da sobrio a nessuno. Dopo qualche Negroni, magari la staccherei ai gruppi Nu Metal. Quelli proprio non riesco ad ascoltarli, mi fanno cagare.


Pierluigi Lucadei


Prossime date del tour dei Negrita: 7/11 Marghera(Ve); 8/11 Cesena; 11/11 Firenze; 14/11 Cortemaggiore(Pc); 15/11 Zingonia(Bg). Infoline tour: 055 5520575

Musica – 2 novembre 2003, ore 22.15