Partiamo da una considerazione: come ha scritto Signe Glahn
"Nick Cave è molto più in salute adesso, che ha 43
anni, di qualche tempo fa, quando sembrava un'appendice delle sue occhiaie".
Ovvio che anche la musica ne risenta. Esorcizzati gli spettri di una vita
dissoluta e messosi definitivamente al riparo da una spirale autodistruttiva
che lo stava rapidamente trasformando in un martire delle sue angosce,
Cave realizza un album morbido e luminoso. Dolce. Pervaso di misticismo:
grande studioso della Bibbia e profondo conoscitore dell'immaginario religioso,
Cave parla di e con Dio in almeno la metà dei brani. E smessi i
panni del cantore dei pazzi e dei violenti, costruisce il suo nuovo disco
attorno ai temi del senso di sicurezza e del bisogno di protezione. E'
naturale rivolgersi a quelli che ci sono vicini, che prima erano visti
solo come persone con le quali non era possibile entrare in contatto,
per chiedere aiuto e protezione, ora che nel cielo è tornato il
sereno. Adesso che persino i Nemici non fanno più paura se "the
dogs you say they fed you to / lay their muzzles in your lap / and the
lions that they led you to / lie down and take a nap". Da questo
punto di vista c'è un brano, "Hallelujah", che può
essere considerato il centro dell'album. E' la storia di un uomo che rinuncia
a rischiare tutto, pur di fronte a tentazioni ammaliatrici, e decide di
tornare sui suoi passi gettando al vento qualsiasi desiderio d'avventura.
All'uomo servono solo venti grossi secchi per raccogliere le proprie lacrime,
venti belle ragazze per trasportarle e venti buche profonde per sotterrarle.
La quiete dopo la tempesta? Sembrerebbe di sì, anche se non si
può pretendere che i fantasmi che ci hanno posseduto per tanto
tempo siano spariti del tutto. E il panico riesplode puro in "Oh
my Lord", dove Cave ricorda di essere il più bell'esempio
vivente di poeta maudit e canta: "Be mindful of the prayers you send
/ pray hard but pray with care / for the tears that you are crying now
/ are just your answered prayers". E se pure la Fede vacilla, non
resta che l'Amore ad offrire l'ultimo approdo per avere sicurezza e protezione.
Amore totale, folle. Amore che vale la pena di essere vissuto, anche quando
finisce e lascia soltanto un ricordo fatuo come il fumo di una pistola
("You were my lover / you were my friend / there never was no other
/ on whom I could depend"). Amore forse non definibile, di certo
non teorizzabile: che sia proprio tale negazione, che castra ogni possibilità
di appagamento, a contendere Cave, e noi con lui, tra Bene e Male, tra
Santità e Dannazione? Disco dell'anno, Amen.
Pierluigi Lucadei
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