“Mary”
di Abel Ferrara

La ricerca della fede. Abel Ferrara, trasferitosi in Italia pur di continuare a fare cinema, ha aspettato e vagliato diversi progetti, prima di tornare con un proprio lungometraggio. Così "Mary", presentato all'ultimo festival di Venezia, carico di aspettative e di pretese fuorvianti rispetto all'intento originario del film, può incorrere nel rischio di apparire banale, con un regista, il cui stile sembra essere appesantito dagli anni e dalle annose polemiche riguardo il suo modo di fare cinema. In "Mary", Ferrara affronta i suoi temi cruciali senza però la virulenza tipica di alcuni suoi lavori precedenti. Ma il film non è solo questo, e se proviamo a depurarlo da tutte queste pretese esasperate, svela presto una connotazione particolare, incentrata su un tema poche volte (a mio avviso) affrontato al cinema:il fare un film nel film.
Come il metateatro, esperienza tipica dell'Antica Grecia ed il Living Theatre, esperimento paradossale ma affascinante della rivoluzione culturale della seconda metà del ventesimo secolo, "Mary" racconta il differente cammino del regista Tony Childress e dell'attrice Marie Palesi del film "This is my blood" (film nel film, incentrato sulla quanto mai attuale figura di Maria Maddalena), implicati nella difesa del proprio lungometraggio scandalo dalle accuse degli integralisti (il primo) e nel proprio cammino spirituale alla ricerca della propria anima (la seconda), la Marie - Binoche, che si confonde col proprio ruolo cinematografico, e rifiutando di rientrare nella propria precedente vita, intraprende un viaggio attraverso i luoghi sacri, per liberarsi dal peso emozionale del ruolo. Così nell'intreccio fra i due protagonisti, entra in gioco anche un giornalista televisivo, un sempre affascinante Forest Whitaker, adultero ma padre imminente, che con i due dovrà confrontarsi irrimediabilmente.
L'idea di Ferrara di fare cinema con la motivazione di trattare argomenti alti, di cinema impegnato come necessità, trapela ancora, anche se spesso il respiro del regista sembra affannoso e stanco. Ma al di là di una sceneggiatura a volte scostante, con i personaggi che spesso sembrano discostarsi dalle proprie idee, spiccano le interpretazioni fuori dall'ordinario degli attori; così, in un cinema basato sulle actions tipiche dei blockbuster americani, assume un gusto estremamente piacevole l'interpretazione della Binoche, ridotta a pura presenza visiva, che utilizza i propri silenzi come lame ben affilate, per scovare in fondo al proprio io, tutte le risposte di cui è in cerca. Inoltre Matthew Modine, interprete tagliato troppe volte fuori dalle lobbies delle majors americane, ci regala una caratterizzazione sopra le righe, con una forza di un tale impatto visivo, che ci porta ad immedesimarci completamente nelle sue problematiche, nella sua ferma opposizione a coloro che vogliono ostacolare la realizzazione del suo personale sogno. Al di là dei due protagonisti principali, completano il cast una serie di attori di notevole fama, che si donano ai loro personaggi pienamente, con risultati anche sorprendenti (n.b. Heathe Graham). Il risultato finale intriga certamente, e nonostante limiti strutturali (una sceneggiatura piuttosto leggera), il film è sicuramente da vedere.

Alessandro Orecchio


Recensioni – sabato 3 dicembre 2005, ore 18.33