Il miglior indie-rock del momento:
Sofa Surfers, Constantines, Austin Lace
di Pierluigi Lucadei
Sofa Surfers - “Sofa Surfers”
Etichetta: Klein / Audioglobe
Brani: White noise / Say something / Softly / Notes of a prodigal / Believer
/ Good day to die / One direction / Love as a theory / Strings / Never go
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Nessun dubbio che il Red Album dei Sofa Surfers sia il disco più cool del momento. Dieci brani di altissimo livello che mischiano elettricità di matrice britannica con un soul caldissimo e struggente. Non poco per un gruppo che arriva da Vienna e che aveva esordito, nel 1997, con un disco prettamente trip-hop. In questa nuova veste, i Sofa Surfers sanno il fatto loro, sembrano entrare in punta di piedi – con l’arpeggio ipnotico dell’iniziale “White noise” che stende un tappeto di soffusa attesa – ma appena arriva l’affondo capisci che il basso profilo è solo messinscena: in questo disco ogni colpo arriva a segno, Wolfgang Schlögl, Markus Kienzl, Michael Holzgruber e Wolfgang Frisch sono ovunque coinvolgenti, a tratti irresistibili (il finale di “Say something” con sensazionali rigurgiti di chitarra, l’elettronica rarefatta di “Notes of a prodigal”, lo scioglilingua di “Good day to die”). L’ossatura dei pezzi è fatta di ritmiche che mantengono sempre un ché di ossessivo, con giri di basso semplici ed efficaci su cui si inserisce una batteria spesso martellante. Al resto pensa una splendida voce black, elegante fascinosa magnetica. Per tutta la lunghezza del disco non si avvertono momenti di debolezza, per un singolo di successo si potrebbe pescare a caso, vista la qualità incredibile della scaletta per intera. Alcuni episodi meritano tuttavia una menzione particolare. Se “Softly” può far pensare a dei Bloc Party con chitarre più suadenti e “One direction” agli ultimi Living Colour, per “Love as a theory” si può parlare di gioiello e ad un riferimento preciso si può arrivare solo immaginando Seal che incontra in sogno Marvin Gaye. Registrato da una band in evidente stato di grazia, questo Red Album è il classico disco che potete metter su in qualsiasi circostanza riscotendo sempre la medesima approvazione. Consigliamo, tuttavia, il buio alla luce. Le sonorità avvolgenti di “Sofa Surfers” sono la colonna sonora ideale per un viaggio in alta velocità verso una notte da ricordare.
Constantines - “Tournament of hearts”
Etichetta: Sub Pop
Brani: Draw us lines / Hotline operator / Love in fear / Lizaveta / Soon enough
/ Working full-time / Good nurse / Thieves / You are a conductor / Windy road
Ancora Canada in questo scorcio di 2005. Dopo gli Arcade Fire e i Broken Social Scene ecco una grande band da Toronto, i Constantines, che pubblica il suo terzo lavoro su etichetta Sub Pop. “Tournament of hearts” è quello che succede quando si spalancano i polmoni e ciò che ne esce è un urlo liberatorio. I Constantines hanno vagabondato in lungo in largo, hanno attraversato oceani e montagne, confrontandosi con se stessi e con il mondo, alla ricerca del senso ultimo dell’amore e delle sue verità. Ciò che hanno scoperto non deve essere piaciuto loro granché: il disco è pieno di fulmini, pioggia, confusione, paura, carne bruciata. “Love in fear” è forse il pezzo più immediato, “Soon enough” sembra appartenere ai Counting Crows di “Recovering the satellites”, “Thieves” è un racconto dalle tonalità black, “Windy road” è una ballata polverosa come quelle dell’ultimo Springsteen e ha un ritornello sussurrato che fa venire voglia di gridarlo forte («this is not your home/leave this place alone/windy road»). “Tournament of hearts” è il disco di un gruppo garage ammalato di romanticismo. Un gruppo dalla scorza all’apparenza impenetrabile che nasconde un cuore grande come quello dei Pearl Jam. Un gruppo in cui, prima ancora delle chitarre, un gran peso ce l’ha la batteria di Doug MacGregor, che sostiene quasi tutti i brani con feroce precisione (basta ascoltare l’iniziale “Draw us lines” ma anche “Hotline operator” e “You are a conductor”). Quando la chitarra prende il sopravvento capita però che viene fuori una canzone come “Lizaveta”, immensamente younghiana nell’acidità della distorsione e del testo, che riporto per intero perché mi piace proprio tanto («Lizaveta/we stood together in the pissing rain/your skin was showing through your shirt/you said “Lover, let’s run for cover”/I said “Lover, wait, stay here and I’ll give up all I’m worth”/it’s good, we desire disorder/with this design, we’re all born our own destroyer/in the evil hour, without defense, be sensitive/you were born to live/attraction lures the sot to drink/to all his troubles down/but when his legs give away/he falls and attraction keeps him down/in the evil hour, without defense, be sensitive/you were born to live»).
Austin Lace - “Easy to cook”
Etichetta: Homesleep
Brani: Come on, come on, come on / Say goodbye / Sunshine for everyone / Wax
/ Bossanova / Hush-hush / Accidentally yours / Telepheric love / Kill the
bee / Your heart is a hook / Cream on my arms / To Ronald
Le possibilità sono due: o questo disco vi piace o dovete farvelo piacere per forza. Le ‘good vibrations’ che “Easy to cook” emana sono benefiche come i raggi di sole che entrano dalle tapparelle nei primi giorni di primavera e sono in grado di mettere di buonumore anche i musi lunghi più intransigenti. Gli Austin Lace vengono dal Belgio ed hanno messo insieme dodici canzoni in perfetto stile Homesleep, l’etichetta bolognese che nel 2005 ha già licenziato un altro pop masterpiece, “Toast masters” degli Yuppie Flu. Forse proprio gli Yuppie Flu sono il gruppo meglio sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda degli Austin, ma Grandaddy, Notwist, Girls In Hawaii, Belle & Sebastian non sono molto distanti. Il booklet è pieno di margherite colorate attaccate su uno sfondo di cielo sereno. La musica è una distesa di elettro pop immediato e magico, dove la malinconia è solo un velo sottilissimo. Quelle degli Austin sono canzoncine che sanno di giovinezza infinita, di infiniti spazi, di infinita piccolezza e dolcezza senza limiti. Tutte veloci e sbarazzine, solo la conclusiva “To Ronald” supera i quattro minuti. “Hush-hush” è l’esilarante ritratto di uno strano vicino di casa che somiglia a Phil Collins e che cerca di rubarti la ragazza; “Cream on my arms” è una ballata acustica un filo stonata, bella una cifra; “Sunshine for everyone” è, con le sue sonorità ‘da spiaggia’, il manifesto programmatico della band; “Wax” un inno all’indolenza («let’s kill some time/let’s kill some time»); “Bossanova” semplicemente il pezzo migliore della raccolta. Il singolo è “Kill the bee”, che fa pensare al Beck di “Mutations” o al Money Mark di “Push the bottom”, ha un testo stralunato («I have for you a bubble/for you a bubble of trouble/your radio is buzzing double/is buzzing double and you crumble») e invita al movimento come una filastrocca contagiosa.
Recensioni – mercoledì 23 novembre 2005, ore 17.38