“Mai più come prima”
di Giacomo Campiotti

“Mai più come prima”. Eppure l’ultimo film di Giacomo Campiotti sa di già visto e sentito: l’ennesima rappresentazione del mondo giovanile con tutte le problematiche annesse e connesse.
Lo spunto è buono: mettere in scena quel cambiamento che avviene in tutti i ragazzi allorchè si trovano costretti a confrontarsi con le difficoltà della vita. Visto sotto questo aspetto è un film che fa riflettere. E lo fa proponendo la storia di sei “normalissimi sciammanati ragazzi” che terminati gli esami di maturità partono per una vacanza sulle Dolomiti. Stando a contatto con la natura scoprono la superficialità dei loro rapporti, il significato più profondo della vita. Si tratta certo di un percorso difficile e tortuoso. Come la scalata che tentano al massiccio montuoso. Ma il traguardo è lì. L’impresa è compiuta. Il costo che pagheranno sarà però elevato, perché niente più d’ora in poi sarà come prima: Enrico (Marco Casu), uno di quelli che parlano poco ma bene, cade durante un’arrampicata. Muore “cercando il bello”. La vita allora si trasforma. Ognuno cerca di far tesoro degli insegnamenti di Enrico; di tirar fuori quel qualcosa di grande che è presente in ognuno di noi; di andare contro ad un destino forse già scritto per seguire i propri talenti e scegliere in assoluta libertà il sentiero da percorrere, la montagna da scalare; di prendere in mano la propria chitarra e iniziare a scrivere da sé la propria melodia. Nel ricordo di quanto detto da Enrico: “il passato non esiste”, ciò che conta è vivere con forza il presente, qui ed ora, e seguire con audacia il proprio io e non smettere mai di cercarlo. Perché in fondo se non conosciamo bene chi ci sta intorno è anche perché non conosciamo appieno noi stessi. Questo è ciò che scoprono i ragazzi, attraverso l’esperienza della morte e la mediazione della natura, colta nella sua più profonda sublimità. Una natura che ci dice che siamo parte di “un tutto, e questa è una sensazione bellissima, un aiuto meraviglioso nei momenti di difiicoltà”. La natura che ci rivela la nostra essenza più profonda: la libertà.
Messaggio nobile quello che il regista rivolge soprattutto ai giovani. Alcune scelte tecniche però lasciano un po’perplessi. Sottile, condotta forse in modo affrettata e stereotipata l’analisi sul rapporto figli-genitori, dove questi ultimi vengono visti, ancora una volta, incapaci di capire e comprendere la prole. Soprattutto nei momenti di difficoltà: autoritari ma non autorevoli. Così come la costruzione di alcuni dialoghi che appaiono in certi casi superficiali e un po’azzardati, come nell’invocazione che Martina rivolge a Dio affinchè l’amico scomparso possa ritornare tra loro. Scontanto, infine, il finale: tipico happy-end della commedia all’italiana. Un po’conosolatorio, certo poco originale. Discreta, invece, l’interpretazione dei sei ragazzi soprattutto se si considera che sono attori alle prime armi. Da segnalare soprattutto le performance di Federico Battilocchio (Fava) e Nicola Cipolla (Max); personaggi che donano al film quella ironia e vitalità tipicamente giovanili. In particolar modo di chi, come Nicola, diversamente abile, è capace di vivere questa sua condizione con grande sensibilità ed autoironia, consapevole di non aver affatto bisogno di pietismo ma di affetti sinceri. Che poi è anche quello che un po’ tutti noi cerchiamo.

Simone Grasso

Recensioni - lunedì 14 novembre 2005, ore 11