Ligabue
“Nome e cognome”

Etichetta: Warner
Brani: Intro / Il giorno dei giorni / Happy hour / L’amore conta / Cosa vuoi che sia / Le donne lo sanno / Lettera a G. / Vivere a orecchio / Giorno per giorno / E’ più forte di me / Sono qui per l’amore

Sono passati solo quindici anni dall’esordio di Ligabue eppure sembrano secoli. Allora c’era chi, per certi slanci di vitalità e per quei sogni raccontati col cuore in mano, avvicinava il rocker di Correggio al rocker per eccellenza, quello del New Jersey, Bruce Springsteen. Lui, Ligabue, non perdeva occasione per rinnegare il paragone e da un po’ anche noi abbiamo capito che aveva ragione. E’ da troppo tempo che il Liga non ha più nulla da dire e continua ad annaspare dentro un rock annacquatissimo e stucchevole. Quest’ultimo “Nome e cognome” è, se possibile, peggiore del suo predecessore “Fuori come va?”. Anticipato da un concertone come manco i falò delle vanità firmati U2, e con un titolo che induce a pensare ad una svolta intimista dopo anni di nulla, “Nome e cognome” è in realtà il lavoro dovuto, dopo tre anni di assenza, di un artista che non sa più dove andare a parare. Spiace perché il Liga è persona intelligente e lui per primo si renderà conto di come la qualità del suo songwriting stia andando drammaticamente in picchiata. E spiace anche perché parliamo di un tipo simpatico, uno con la reputazione del buono. E se fosse anche lì il problema? Il rock non è mai stato roba per bravi ragazzi. Sono passati solo quindici anni dall’esordio, si diceva, eppure si avverte una stanchezza a cui si stenta a credere. Dopo tre dischi di buona fattura e un quarto un gradino sotto ma dallo strepitoso successo commerciale, Ligabue è presto diventato un dinosauro, uno di quelli che continuano a vivere di rendita, un bel verso lì, un ritornello facile facile là, e dosi massicce di mestiere a mascherare il vuoto. “Il giorno dei giorni” se la gioca alla grande con “Buoni o cattivi” di Vasco, è la patacca rock che può far gola solo agli strozzini della pubblicità. Basta prendere in mano il chorus («è già partito il giorno dei giorni/fatto per vivere/il giorno dei giorni/tutto da fare e niente da perdere/il giorno dei giorni/senza più limiti/il giorno dei giorni/attimi e secoli/lacrime e brividi») per chiedersi se quello di “Urlando contro il cielo” non fosse per caso un altro cantante. “Cosa vuoi che sia” e “Le donne lo sanno” sono canzoni che si allontanano da quelle di Biagio Antonacci solo per la dose rincarata di chitarre elettriche. “Vivere a orecchio” e “E’ più forte di me” sono di un’inutilità imbarazzante. “Giorno per giorno” insiste su un tema straabusato con un testo in bilico tra la banalità e il delirio («giorno per giorno/sempre ballando/non prendere mai questa vita/né poco né troppo sul serio/…/cosa c’è di male in fondo a vivere/giorno per giorno/sempre saltando/il cielo non tiene la terra decide che siamo pesanti»). Se dobbiamo salvare qualcosa, diciamo senza dubbio “L’amore conta”, canzone d’amore autentica da mettere a fianco delle storiche “Piccola stella senza cielo” e “Ho messo via”. Il resto è rock come il doppiopetto di Berlusconi. Almeno Vasco ogni tanto riesce ancora a far tremare i genitori.

Pierluigi Lucadei


Recensioni – giovedì 10 novembre 2005, ore 18.02