“La Rosa bianca – Sophie Scholl”
Nelle sale il film di Marc Rothemund trionfatore al Festival di Berlino
Miglior regia e migliore attrice al Festival di Berlino 2006.
Candidato della Germania all’ Oscar 2006 come miglior film straniero.
Potrebbe bastare questo. Ma “La Rosa Bianca – Sophie Scholl”
è molto di più. E’ un film sulla libertà. Sull’amore.
Sulla resistenza all’imperialismo nazista.
E’ il 18 febbraio 1943 quando i fratelli Sophie e Hans Sholl ( la vera
anima della Rosa Bianca ) vengono sorpresi e quindi arrestati mentre distribuiscono
volantini che esortano alla resistenza passiva al regime nazista, cercando
quindi di sensibilizzare la popolazione. Da qui si sviluppa l’intera
vicenda: dal lungo ed intenso interrogatorio con l’ufficiale della Gestapo,
passando per il processo al tribunale del popolo fino ad arrivare alla decapitazione
di Sophie. Un film emozionante, travolgente che a tratti lascia come un nodo
alla gola per la drammaticità della vicenda. Per il semplice fatto
forse che ancora oggi si fa fatica a credere, o meglio, ad accettare che l’Uomo
sia arrivato a concepire simili barbarie. Eppure così è stato.
Eppure questa è la storia. E la ricostruzione di Rothemund appare quanto
mai fedele, supportata da efficaci scelte sia nelle inquadrature che nel montaggio.
Straordinaria e a tratti commovente l’interpretazione di Julia Jentsch
che si cala magnificamente nei panni di Sophie. In questo, l’attrice
come il regista e lo stesso sceneggiatore Breinersdorfer si sono avvalsi dell’aiuto
di alcune trascrizioni dei verbali degli interrogatori della Gestapo e del
processo contro gli esponenti di spicco della Rosa Bianca. Non a caso la parte
più riuscita del film è l’interrogatorio tra la giovane
ragazza, dallo spirito forte ma tenera di cuore, e il commissario Mohr ( Gerald
Alexander Held ), in bilico tra sdegno e ammirazione che gli offre anche una
scappatoia. Probabilmente perché rimane come estasiato dal profondo
senso di giustizia di Sophie e quasi rimane convinto dai suoi discorsi sull’immane
tragedia che Hitler stava compiendo e sulla necessità di porre fine
alla guerra.
Nel complesso un film ben fatto anche se emergono alcune zone d’ombra:
non convince, ad esempio, il sentimentalismo di alcune scene un po’
“strappalacrime” così come il modo in cui viene ritratto
l’ambiente carcerario. Le prigioni naziste erano ben altra cosa, sicuramente
meno accoglienti. Molte poi sono le frasi ad “effetto”, nonché
diverse citazioni letterarie. Si potrebbe quasi dire che questo è un
film da ascoltare più che da guardare.
Discorso a parte va fatto per Sophie Sholl: unica ragazza del gruppo. Poco
più che ventenne ha già forza, audacia e dignità per
combattere. Per opporre alla nefandezza del progetto nazista l’universalità
delle idee di giustizia e libertà. Avrebbe potuto salvarsi ma non lo
ha fatto. Perché ciò implicava scendere a compromessi con il
regime e, ancor più, rinnegare le proprie idee.
“Non vi è amore più grande di chi dona la vita per i propri
cari”. E Sophie fa proprio questo. Supportata da un incrollabile fede
in Dio che la porta ad amare e sperare nonostante tutto. Convinta che il sole
splende ancora e che il suo sacrificio non sarà inutile. Il suo è
un eroismo “che vede il più debole affrontare per lungo tempo,
quotidianamente, colui che è più forte e non lascia scampo;
ma a cui va opposta, fino al limite estremo una resistenza tenace, silenziosa
e continua, senza gesti da immortalare ma con una continuità da assicurare”.
Un eroismo che cerca di afferrare il tesoro più prezioso che abbiamo:
la libertà.
Simone Grasso
Recensioni - lunedì 7 novembre 2005, ore 17.00