“I giorni dell’abbandono”
Intervista al regista Roberto Faenza
Bistrattato dalla critica ma premiato ai botteghini. “I
giorni dell’abbandono” a pochi giorni dall’uscita nelle
sale cinematografiche già fa registrare un grande successo di pubblico.
D’altra parte questo è anche un po’il destino di un regista
come Roberto Faenza, non sempre ben voluto nell’ambiente ma spesso premiato
dagli spettatori.
E’ un film tratto dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante e racconta
la storia di una giovane donna, Olga (Margherita Buy) che d’improvviso
viene abbandonata dal marito Mario (Luca Zingaretti). Questo scatena in lei
una tempesta emotiva, una perdita di autostima, una crisi che la porterà
ad avvertire una sorta di vuoto esistenziale. Perché perde tutto ciò
in cui ha sempre creduto. Tutto ciò che ha sempre amato. Allora ci
si rende conto che l’abbandono, in realtà, avviene prima, quando
decide di lasciare il proprio lavoro, i suoi “talenti”. Quando
decide di abbandonare se stessa per dedicarsi, anima e corpo, a ciò
che più ama. E’ un’impresa rischiosa, certo. Ma vale la
pena tentare. D’altra parte non è l’amore tutto ciò
di cui abbiamo bisogno? Questo Olga lo sa benissimo. Per questo “in
quelle ore infinite dell’abbandono, delle dure emozioni, dei sentimenti
che la devastano, del malamore come aria cattiva che la soffoca”, avverte
un vuoto di senso. Ma Olga sa anche che per risalire bisogna toccare il fondo;
che attraverso la sofferenza si diviene maggiormente maturi; che, davvero,
ciò che non uccide fortifica. Allora si può considerare questa,
una storia di vittoria e di conquista. Una vittoria sofferta. Ma le strade
dell’amore sono ardue e difficili da percorrere.
Ne abbiamo parlato con il regista Roberto Faenza.
“I giorni dell’abbandono”, tante critiche a Venezia
ma vasto consenso di pubblico. Si ripete una storia già nota. Ma allora
è proprio necessario andare da Marzullo per promuovere un film?
Certamente la situazione ideale sarebbe quella di non dover mai incontrare
i giornalisti. Ma andare da Marzullo o da qualsiasi altro non fa nessuna differenza.
Se ciò avviene è solo per dare un po’ più di visibilità
anche se in certi casi non c’è ne è il bisogno.
Qualcuno dice che è un film claustrofobico, un po’ soffocante.
Come Torino. Ma questo film sarebbe stato possibile senza Torino? Torino è
anche questo film?
Devo dire che questo film si sposa molto bene soprattutto con la protagonista.
Entrambe finiscono con l’essere abbandonate. Entrambe sono alla ricerca
di una nuova realtà, di una nuova dimensione. La somiglianza c’è
anche nella rinascita. Olga non cade nella depressione o nella frustrazione
più totale come in molti casi succede a chi viene abbandonato. Ma sa
rialzarsi e reagire. E questo è anche un po’ ciò che sta
avvenendo a Torino negli ultimi tempi.
Il tema dell’abbandono è stato spesso trattato dal cinema
italiano. A molti potrebbe apparire come una banale storia di tradimento.
Un tema in cui, come in questo caso, al protagonista esce dal tunnel attraverso
un uomo. Allora è sempre lo stesso percorso? E se non ci fosse stato
il musicista del piano di sotto?
Ne avrebbe trovato un altro! A parte le battute, Olga certamente non và
incontro al futuro solo grazie alla conoscenza con il musicista. Quando lei
lo incontra è già rinata a vita nuova. Si è già
creata una corazza. Non subisce più dall’amore quei costi che
ha già pagato. Almeno non è più vittima. Ma non è
che non crede più nell’amore: non crede più nell’amore
eterno! Perché, come detto, ha già dato e ha già pagato.
Molto spesso sono le donne ad essere le protagoniste dei suoi film.
E’ avvenuto, ad esempio, con “Prendimi l’anima” e
ora di nuovo con “I giorni dell’abbandono”. In base a cosa
decide che le donne si apprestano meglio ad interpretare certi ruoli?
Innanzitutto sia Olga che Sabina (la protagonista di Prendimi l’anima)
sono donne che attraverso la lacerazione del proprio animo costruiscono un
immagine più forte di sé. Un percorso attraverso la sofferenza,
che fa maturare e crescere. Che permette di recuperare quel piacere di vivere
che magari precedentemente si era perso. Perché le donne? Perché
sono più libere, più aperte agli sconvolgimenti sentimentali
ed emozionali. Più capaci di lasciarsi attraversare dal dolore.
Di recente ha mosso delle accuse circa la nuova composizione della
commissione atta a selezionare i film italiani da candidare agli oscar. Può
parlarcene meglio?
Intanto c’è da dire che Roberto Faenza è un personaggio
marginale nel cinema italiano. E poi è anche vero che un minimo di
trasparenza ci vuole. L’Accademy Awards, da anni, aveva affidato il
compito di selezionare i film italiani all’associazione “David
di Donatello”, la quale da quest’anno però è stata
rimossa. Il suo posto è stato preso da un gruppo di sette-otto produttori
che, ovviamente, hanno finito con il favorire i loro film. Questi hanno chiuso
la possibilità di presentare altri film il giorno stesso in cui hanno
dichiarato di aver preso il posto dell’associazione “David di
Donatello”. Di fronte alle accuse di scarsa trasparenza, la nuova commissione
è stata destituita. Così ne è stata formata un’altra,
rimasta segreta fino a pochi gironi fa. E da qui, poi, la scelta di “Private”,
un film “indipendente”, non in mano a certe cupole di potere.
Simone Grasso
Recensioni – lunedì 3 ottobre 2005, ore 20.42