John Fante: Aspetta primavera, Bandini
L’inizio dell’avventura
Siamo all’inizio dell’avventura. Il primo dei quattro
capitoli dedicati alla famiglia Bandini alla quale John Fante lega indissolubilmente
la sua carriera e la sua vita. Perché i Bandini sono i Fante. Gente
semplice, emigrata da Torricella Peligna (Chieti) e diretta verso Denver (Colorado)
dove John nasce l’8 aprile 1909. Un romanzo strano, perché narrato
in terza persona a differenza di tutti gli altri grandi romanzi. È
come se Aspetta Primavera, Bandini abbia per John l’effetto che si prova
quando si va a fare un bagno al mare. Ci si bagna prima un po’ le braccia
e il torace, prima di tuffarsi sott’acqua. Il libro è il primo
assaggio della straordinaria capacità di Fante di guardare dentro la
sua realtà familiare e dentro il suo animo, dove in seguito esplorerà
i meandri più nascosti.
I Bandini non sarebbero potuti andare da nessun’altra parte se non in
Colorado. Non la Florida, con le sue palme e lo sguardo proteso verso il paese
lasciato alle spalle. Neanche la ricca California. Là sì che
Svevo avrebbe potuto avere Chiaretto a fiumi e lavorare un anno intero, senza
poi tanto penare. I Bandini, invece, se vanno in Colorado. Nel mezzo di un
territorio sconfinato. Circondato dai monti. Con la neve che cade copiosa
nei freddi inverni. Una neve che impedisce al padre di Arturo, cioè
John, di lavorare finché non arriverà primavera. Ma Fante non
vuole fare della sua vita un’apologia della sfortuna. Fante ci descrive
la sua vita. La ama e la odia. Come ogni vita vissuta intensamente.
Da un lato Arturo vuole diventare una stella del baseball. Vuole esibirsi
negli spettacolari e scenografici stadi dell’American Association. E
con lui vuole il suo amore. Rosa Pinelli, emigrante anche lei, ma già
molto più americana di lui. C’è molto delle commedie strappalacrime
degli anni ’30, che con un decino il giovane Fante andava di nascosto
a vedere nei cinema (e alle quali si dedicherà per far cassa quando
i suoi romanzi ancora non erano diventati un successo), stando bene attento
a non far scorgere un volto abbondantemente rigato dalle lacrime.
Dall’altro Arturo è orgoglioso delle sue origini. Ama le mani
callose del padre. Quel suo collo taurino, i lunghi baffi neri e quel toscano
spezzato che nelle fredde notti americane fuma con orgoglio nel cortile della
casa della vedova Hildegarde. Ah, la vedova Hildegarde! Che donna! Che fianchi,
che pelle, che profumo…un sogno proibito per il padre? Forse. Chi non
vorrebbe una splendida donna, americana, profumata, con un conto in banca
da duecento, trecentomila dollari. Tutti! Non Svevo. Svevo è la vittima,
non il carnefice. Non un pensiero impuro aveva sfiorato la sua mente, tanto
da mettere in crisi il rapporto con Maria, sua moglie.
Ma lei, in fondo, come poteva saperlo? Maria è povera e non ha il diploma.
Non è una bella donna, lo è stata. Ha un cappellino che ogni
anno sistema per adattarlo alla moda del tempo che scorre e con vergogna deve
comprare il cibo per suoi figli a credito. E soprattutto è profondamente
italiana. I figli prima di tutto. Non ci sono soldi. Ma la frutta va mangiata,
perché fa bene. Un americano avrebbe ripiegato su farina e patate.
Un italiano no. Prega, prega tanto. Una preghiera che si fa rituale, cantilena
e sottofondo di una vita intera. Ma se vi fermate a leggere con attenzione
scoprirete che sotto un’apparenza da santa, Maria ha delle sane passioni
carnali che però non mostra agli altri. Si può fare solo quod
decet. Italiana anche in questo. L’idea di un marito che non torna a
casa perchè invaghitosi di un’altra donna la ferisce quasi a
morte. I suoi figli lo sanno. E tra loro Arturo è colui che lo sa più
di tutti. Per questo, ma non solo, odia il padre.
L’oscillazione costante tra amore e odio, tra gioia e dolore. Il sorriso
che istericamente un attimo dopo si trasforma in pianto. L’anima dei
Fante è tutta qui. Aspetta primavera, Bandini sancisce l’inizio
della saga. La quadrilogia continua con Chiedi alla polvere, La strada per
Los Angeles (scritto nel 1935, ma pubblicato postumo nel 1985) e, in un certo
senso, Full of life e La confraternita dell’uva, in quanto qui scompaiono
i Bandini e appaiono i Fante e i Molise, che sempre Fante sono.
Se li leggerete nell’ordine sarà divertente osservare nei personaggi
lo scorrere del tempo. Il loro crescere ed invecchiare. I loro cambiamenti,
che, però, li faranno rimanere sempre, profondamente i Fante.
Armando Maria Corsi
Recensioni – giovedì 22 settembre 2005 –
16:20