Paal Flaata
“Rain”

Etichetta: Glitterhouse
Brani: Love trash / It will come down / Right next to nothing / Overflow / Don’t you walk away / Life down here in hell / All the while / Isabella / Wolf’s eyes / Alabaster jar /Bless us all
Produttore: Thomas A. Andersen

Giù il cappello di fronte a questo grande interprete. Paal Flaata, cantante dei disciolti Midnight Choir, una delle più famose rockband norvegesi, pubblica per l’etichetta tedesca Glitterhouse la sua seconda fatica solista, “Rain”, a quasi tre anni di distanza da “In demand”. Della voce di Flaata diremmo, se non corressimo il rischio di sembrare banali, che è una di quelle che potrebbe cantare anche l’elenco del telefono: cupa, profonda, ma anche duttile e dolcissima. Flaata fa parte di quella schiera di cantori, da Scott Walker a Liam McKahey, passando per David Bowie e Nick Cave, capaci di spezzarti il cuore con lo stesso spleen baritono di una notte solitaria passata a consumare pacchetti di sigarette e a sfogliare un vecchio album di fotografie. Con tale invidiabile vantaggio Flaata confeziona un disco di grande intensità, che non spicca per originalità ma semmai per la bellezza di tutti gli undici episodi.
Viene da una caverna nascosta in chissà quale abisso la voce di “Love trash”, pezzo notevole a metà strada tra il blues infetto di Hugo Race e le aperture melodiche dei Cousteau. Sulla stessa scia si pone di diritto la cupa “It will all come down”, mentre altrove è la melodia a prevalere, specie nella cristallina “Don’t you walk away” e nella languida “Life down here in hell”. Impossibile rimanere indifferenti ascoltando una ballata pura come “All the while” o struggimenti come “Isabella” («Isabella, troverai mai la risposta alle tue preghiere?») e “Alabaster jar” («tu sei ciò che ami, non ciò che ama te/e tutto il resto è come polvere/appoggiata su piccoli mucchi di cenere»).
Ma c’è anche il rock, se “Wolf’s eyes” sembra presa a prestito dai Pearl Jam più epici, con la potente linea di basso e le chitarre di Carsten Boe e Ben Lorentzen che si intrecciano a meraviglia. E non manca l’omaggio a Mickey Newbury, uno degli autori preferiti di Flaata, la cui “Bless us all” è posta a chiusura di “Rain”, in versione asciutta con soli organo e loop. Si chiude con una preghiera un album che suona come un classico, capace di mozzarti il fiato soprattutto grazie alle corde vocali del protagonista, che sono di quelle che tutti vorremmo per la serenata più importante della nostra vita.


Pierluigi Lucadei


Recensioni – martedì 19 luglio 2005, ore 11.09