Hugo Race + True Spirit
“Ambuscado”

Etichetta: Glitterhouse
Brani: Yeah u / Will the circe be unbroken? / Ducados / Girl called sunset / Essential serbo-croat / Komota pt 1 / Spirit world rising / Surfing the alpha / Religious sound / In the valley of the moon / Ostrava / John the revelator 2000 / The judge / Komota pt 2
Produttori: Hugo Race + True Spirit

Sono più di vent’anni che Hugo Race si avventura dentro i territori ombrosi del blues più infetto, quello venato di inquietudini turpi, tra scenari di desolante assenza di luce e melodie andate a male. Sperimentazione, cupezza, atmosfere minimali hanno caratterizzato tutti o quasi i lavori firmati True Spirit, ensemble mutevole che accompagna l’artista australiano dal 1988, l’anno di “Rue Morgue Blues”, ma forse mai come stavolta il viaggio si era fatto tanto folle e visionario. Eppure Hugo Race non aveva mai lesinato dischi difficili, basti ricordare “Wet dream” del 1997 e “Chemical wedding” del 1998.

L’immagine di copertina è tutto dire: è la droga a segnare il percorso del nuovo raggelante viaggio. Bottiglie e recipienti di droghe vegetali sono in vendita su un bancone dietro il quale di estendono campi di papaveri afgani. Pensare che il progetto di “Ambuscado” era nato come tentativo di avvicinarsi alla tradizione gospel e spiritual non può che far sorridere, tanto il risultato finale si distacca da qualsiasi estetica cristiana. E’ la stessa Glitterhouse a presentare “Ambuscado” come un «trip into the viscera of a psychedelic sixth dimension».

Le tracce che più somigliano a canzoni sono “Will the circe be unbroken?”, brano tradizionale in cui quanto di apocalittico si nasconde tra le liriche («I was standing by my window/on a cold and cloudy day/when I saw that wave come rolling/sweep my world away») viene esacerbato dall’arrangiamento rarefatto e glaciale, e “Spirit world rising”, un pezzo di Daniel Johnson di cui Race aveva già proposto una cover nel suo lavoro solitario del ’94, “Stations of the cross”. Il resto sono schegge di mondi lontani, visioni scheletriche, decostruzioni pietrificate. “Essential serbo-croat”, “Ostrava” e “The judge” hanno il suono che potrebbe venire dal colore nero, se di colpo diventasse capace di suonare: sconcertanti. “In the valley of the moon” e “Komota 2” avrebbero potuto essere delle canzoni struggenti se non si fossero svestite prima del tempo, la loro nudità inghiottita in un paesaggio deserto. In questa follia di decomposizione, frammenti di melodia come “Ducados” e “Surfing the alpha” non possono che considerarsi dei canti di sirena, in modo particolare “Surfing”, costruita come una porta verso l’infinito, liberatoria e ‘interstellar’.

“Ambuscado” non è un disco per tutti, d’accordo, ma neanche per una cerchia di fanatici così ristretta come un ascolto frettoloso potrebbe far pensare. Un disco per stonati, per stonarsi, o, come si diceva una volta, per viaggiare standosene seduti sulla poltrona di casa.

Pierluigi Lucadei


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Recensioni – lunedì 4 luglio 2005, ore 15.55