Speciale Nick Cave & the Bad Seeds
“B-Sides & Rarities” : tre cd di meraviglie

E’ successo che proprio qualche giorno prima dell’uscita di questo mini-cofanetto, ho fatto ascoltare un disco di Nick Cave ad un amico e questo ha riaperto antiche ferite. Quando mi ha detto quanto trovasse angosciante la musica del mio idolo ho storto il naso pensando, per un attimo, di poterlo strozzare, ma di colpo ho ricordato tutta l’angoscia che Nick Cave diede anche a me quando ho iniziato ad ascoltarlo. Da allora ne è passato di tempo e ne sono successe di cose. La sua voce ha smesso di essere angoscia e tormento, è diventata controcanto per miei pensieri, sollievo per i miei crucci, vizio poesia e dipendenza, per mesi non ho ascoltato altro. Nel corso degli anni Nick Cave l’ho amato così tanto da innalzarlo quasi a personaggio mitologico, finché non ho avuto la fortuna di incontrarlo e la stretta di mano e il paio di pacche sulla spalla che gli ho dato l’hanno riportato sulla Terra. Lui nel frattempo aveva edulcorato il suo livore e realizzato dischi luminosi. Ed io ho percorso chilometri immaginando come tappeto sonoro le melodie malefiche di “Stranger than kindness” e “The wheeping song”. E ora non posso fare a meno di consigliare con tutto il cuore questo triplo cd di rarità: credetemi, se stavate aspettando la scusa buona per rompere il salvadanaio, non ne troverete facilmente una migliore di questa. Nick Cave raccoglie 56 canzoni sparse negli anni tra compilation e singoli vari. Si va da “The moon is in the gutter”, lato B del primo singolo targato Bad Seeds (“In the ghetto”, 1984) alle cover di Neil Young (“Helpless”) e Leonard Cohen (“Tower of song”), dai divertissement di “That’s what jazz is to me” e “Right now I’m a-roaming” all’ormai introvabile duetto col compagno di sbronze Shane MacGowan (“What a wonderful world”, 1992). “B-Sides & Rarities” ripercorre la carriera dei Bad Seeds per intera, passa attraverso le collaborazioni col regista Wim Wenders (“I’ll love you till the end of the world”, 1991), il periodo delle ballate assassine (“The ballad of Robert Moore and Betty Coltrane”, 1995) e la felicità creativa che ha portato alla pubblicazione, lo scorso anno, del bellissimo doppio “Abattoir blues/The lyre of Orpheus” (“Under this moon”, 2004). Confezione scarna, nessuna nota celebrativa, soltanto il rigoroso bianco e nero di titoli e crediti, imperdibile.


Nessun artista contemporaneo può vantare una discografia, per costanza di ispirazione e qualità, paragonabile a quella di Nick Cave. Dal 1984, anno di battesimo dei Bad Seeds, l’artista australiano ha messo in fila un capolavoro dietro l’altro e ad un certo punto, da “Murder Ballads” in poi, ha toccato vertici di bellezza assoluta, imprescindibili per tutti e superabili da nessuno. E’ significativo quello che ha recentemente scritto Paolo Vites su “Jam”: “è un percorso, quello che ha portato l’australiano a questi vertici, cominciato ai tempi di “Murder Ballads”. Non che prima non avesse scritto almeno una manciata di irripetibili capolavori, tutt’altro; possono i Bob Dylan, i Lou Reed, i Bruce Springsteen, i Neil Young, i Van Morrison, guardando a quanto da loro inciso negli ultimi vent’anni, pensare di competere con un songbook che elenca brani come “Straight To You”, “The Mercy Seat”, “Nobody’s Baby Now”, “Do You Love Me?”, “The Wheeping Song” o “The Ship Song”, solo per citarne qualcuno? Onestamente e con tutto l’affetto diciamo di no”. Al discorso sulla bellezza delle canzoni incise da Nick Cave negli ultimi vent’anni ne affiancherei un altro. Nessuno dei grandissimi autori citati da Vites può vantare, nella propria discografia, una prolificità e una continuità di ispirazione ai massimi livelli per un periodo lungo vent’anni. Dylan e Springsteen già nei primi otto anni di carriera avevano scritto i loro capolavori, ed ora fanno due dischi a decennio. Neil Young e Lou Reed sono stati immensi nei Settanta, poi, con le dovute eccezioni (“Freedom”, “New York”) non sono più riusciti a fare cose altrettanto memorabili. L’ispirazione e la poesia di Cave non hanno mai avuto pause e quanto di miracoloso ci sia in questo è ancora più evidente se si considera il duro calvario che è stata l’esistenza dell’artista, segnata per anni da una brutta dipendenza da eroina. In tal senso, ha davvero del miracoloso come Cave non abbia mai perso la sua lucidità di poeta e la sua disciplina nel lavoro: ne è prova il fatto che nel momento peggiore della sua dipendenza sia riuscito a tirare fuori dal cilindro uno dei suoi album più riusciti di sempre, quel “Tender Prey” contenente gemme di rock apocalittico come “City Of Refugee” e “The Mercy Seat”.


Nato nella cittadina di Warracknabeal (Australia) il 22 settembre del 1957, Nicholas Edward Cave forma la sua prima rockband alla metà degli anni Settanta a Melbourne. Con lui ci sono il chitarrista Mick Harvey, il bassista Tracy Pew e il batterista Phil Calvert. Con il nome di The Boys Next Door i quattro pubblicano nel 1979 l’album “Door, Door”. Nel 1980 si ribattezzano The Birthday Party e volano a Londra per cavalcare l’onda del post-punk che ha nella capitale inglese il suo centro gravitazionale. “Prayers On Fire” è uno dei debutti più minacciosi e selvaggi della storia del rock, titoli come “Zoo-Music Girl”, “Nick The Stripper”, “King Ink”, “A Dead Song” sono decostruzioni a cui è impossibile mostrare indifferenza e fanno dell’album in questione il capolavoro del cosiddetto “rock tossico”. The Birthday Party fanno in tempo a registrare un altro album ed alcuni ep prima di sciogliersi causa tensioni interne e abusi di ogni tipo. A quel punto Cave partecipa all’Immacolate Consumptive Tour con Marc Almond, Lydia Lunch e Jim “Foetus” Thirlwell mentre Harvey lavora al progetto Crime & The City Solution. I Bad Seeds nascono dall’incontro di Cave e Harvey con Blixa Bargeld degli Einstuerzende Neubauten e debuttano nel 1984 col fondamentale “From Her To Eternity”, cui farò seguito, un anno dopo, “The First Born Is Dead”. Da allora la storia dei Bad Seeds non si è più fermata e, anno dopo anno, ha gradualmente abbandonato gli angusti spazi dell’underground per approdare ad un vero e proprio successo di massa. L’ossessione e la violenza della musica di Cave si è, col tempo, edulcorata e album come “The Good Son”, “The Boatman’s Call” e “No More Shall We Part” sono opere prettamente “cantautoriali”. Disco “diverso” e certamente unico nel panorama rock mondiale è “Murder Ballads” del 1996, baciato anche dal successo commerciale, un album a tema contenente dieci ballate sul tema dell’omicidio, tra cui episodi di bellezza indescrivibile come “Song Of Joy”.
Se c’è una cosa che non è mai cambiata nel corso degli anni è l’ammirazione dei colleghi nei confronti di Nick Cave e dei suoi Bad Seeds, ammirazione che ha germogliato discepoli come P.J. Harvey, Died Pretty, Dirty Three, Morphine, Tindersticks, Marlene Kuntz e tanti altri.


Discografia

“B-Sides & Rarities” – 2005
“Abattoir Blues / The Lyre of Orpheus” – 2004
“Nocturama” – 2003
“No More Shall We Part” – 2001
“The Best of Nick Cave & The Bad Seeds” – 1998
“The Boatman’s Call” – 1997
“Murder Ballads” – 1996
“Let Love In” – 1994
“Live Seeds” – 1993
“Henry’s Dream” – 1992
“The Good Son” – 1990
“Tender Prey” – 1988
“Your Funeral… My Trial” – 1986
“Kicking Against The Pricks” – 1986
“The First Born Is Dead” – 1985
“From Her To Eternity” - 1984


Pierluigi Lucadei


Recensioni – venerdì 8 aprile 2005, ore 18.09