E' il film di cui tutti parlano. Ha già vinto tre
GoldenGlobes ed è il favorito numero uno nella corsa agli Oscar,
che saranno assegnati a fine marzo. Negli Stati Uniti ha incassato quasi
duecento miliardi di lire e adesso sta andando alla grande anche in Italia,
dove, come era già accaduto qualche mese fa per "Eyes Wide
Shut", l'ultima pellicola firmata Kubrick, si sta verificando uno
strano fenomeno. Al bar, in treno, dal giornalaio, tutti parlano di American
Beauty. Ma cosa ha di speciale questo film? American Beauty è il
ritratto impietoso di una famiglia borghese tra le più frustrate
mai viste sullo schermo. Padre, madre e figlia adolescente tirano avanti
con la forza appannata dell'indolenza. I coniugi Burnham, giornalista
lui, venditrice di immobili lei, sono vere e proprie caricature; la loro
figlia Jane e suoi amici sono grotteschi e guasti. Eppure attenzione:
non è difficile accorgersi, dietro siffatta surreale facciata,
di come, paradossalmente, le gesta dei protagonisti non sono pio così
lontane dal vero. D'altronde tutti gli attori sembrano indossare una maschera
sulla maschera e il film è un caustico trattato sull'apparenza,
in cui tutto ciò che sembra non è. E così American
Beauty finisce per confondere, per spiazzare lo spettatore, che non capisce
più se quella che sta vedendo è una commedia o una tragedia.
I cambi di registro sono continui e il regista Sam Mendes, qui nella sua
opera prima ma con un'invidiabile carriera teatrale alle spalle, dimostra
di essere un fuoriclasse, ben supportato dall'ottima sceneggiatura di
Alani Ball. Mendes è pungente e beffardo, dà al film un
taglio che, man mano si va avanti con la storia, assomiglia sempre di
più ad un ghigno. Nonostante non sia questo il suo obiettivo primario,
il regista riesce anche a dirci che l'evoluta società stelle e
strisce non si è ancora emancipata da certi pregiudizi e da certe
paranoie. Il colpo di pistola finale che conclude il film è l'urlo
di chi non ha mai assaporato nemmeno un briciolo di quella bellezza che
è dietro l'angolo ma che è così difficile da cogliere.
Perché, per dirla con Lester Burnham, "c'è così
tanta bellezza nel mondo che mi sembra di scoppiare". Una menzione
particolare va, ovviamente, agli attori, tutti perfetti nel loro ruolo
di splendidi mediocri: da Annette Benino, già brava in "Rischiose
abitudini" e "Bugsy" ma mai così convincente, al
"fosco" Wes Bentley; dalla "stellina" Mena Suvari
al grandissimo Kevin Spacey, uno di quelli che sembra non sbagliare mai
un colpo, del quale diventa davvero difficile parlare bene, perché
di lui hanno detto già tutto.
Pierluigi Lucadei
S. Benedetto T., 2000-02-01
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