Con le domeniche ecologiche abbiamo riscoperto il piacere
di spostarci in città pedalando sulle due ruote senza il pericolo
del traffico. Negli altri giorni poi il traffico, appunto, ci fa paura
e siamo costretti a lasciare la bici in garage. Per questo si parla sempre
più spesso della realizzazione o integrazione delle piste ciclabili.
Ma come devono essere gli itinerari ciclabili per essere a norma di sicurezza?
Lo stabilisce il D.M. 557/99, pubblicato sulla G.U. 225 del 26 set 2000,
che in 13 articoli detta le "linee guida per la progettazione degli
itinerari ciclabili" finalizzate al raggiungimento degli obiettivi
fondamentali di sicurezza e di sostenibilità ambientale per favorire
e promuovere un elevato grado di mobilità, ciclistica e pedonale,
alternativa all'uso dei veicoli a motore nelle aree urbane. A tale scopo
gli enti locali devono dotarsi di un piano per gli itinerari ciclabili;
per i comuni che sono tenuti alla predisposizione del piano urbano del
traffico (PUT), ai sensi del D.L.vo 285/92, il piano della rete ciclabile
deve essere inserito all'interno del PUT secondo quanto previsto dalle
direttive ministeriali pubblicate sul suppl. ord. 77 alla G.U. del 24
giugno 1995. gli itinerari ciclabili si identificano con i percorsi utilizzabili
dai ciclisti in:
- sede riservata (sede propria o corsia riservata);
- sede ad uso promiscuo con pedoni (percorso pedonale e ciclabile) e con
veicoli a motore (in carreggiata stradale).
I percorsi ciclabili su carreggiata stradale rappresentano la tipologia
a maggior rischio per l'utenza ciclistica e, pertanto, sono ammessi solo
per dare continuità alla rete negli spazi in cui non sia possibile
realizzare la pista in altro modo. I percorsi promiscui devono essere
protetti con attraversamenti pedonali rialzati, rallentatori di velocità
per il traffico ed altri interventi idonei ad assicurare la non pericolosità
tra le componenti del traffico a motore e velocipedi. Le piste ciclabili
possono essere realizzate:
- in sede propria, ad unico o doppio senso di marcia, separata dalla sede
relativa al traffico e ai pedoni con opportuno spartitraffico fisicamente
invalicabile e con larghezza minima di m.0,50;
- su corsia riservata, ricavata dalla carreggiata stradale, ad unico senso
di marcia;
- su corsia riservata, ricavata dal marciapiede, ad unico o doppio senso
di marcia, qualora non si pregiudichi la circolazione dei pedoni.
La larghezza della corsia ciclabile va da un minimo di m.1,50 riducibile
a m.1,25 nel caso si tratti di corsia contigua dello stesso od opposto
senso di marcia; eccezionalmente la larghezza può ridursi a m.1,
per le piste ciclabili in sede propria o riservata, ma solo per brevi
tratti opportunamente segnalati. La larghezza delle piste sulle quali
è ammessa anche la circolazione dei velocipedi a tre o più
ruote deve essere adeguata secondo quanto previsto dal D.L.vo 285/92.
Il D.M. 557/99 indica anche le caratteristiche plano-altimetriche con
pendenze da non superare pari al 5% (eccezionalmente e per brevi tratti
pari al 10%), raggi di curvatura superiori a m.5 (eccezionalmente ridotti
a m.3). Per gli attraversamenti a livelli sfalsati si deve privilegiare
il sottopasso e per la segnaletica, fermo restando quanto previsto dal
D.L.vo 285/92 e dal DPR 495/92 art.122, le piste ciclabili devono essere
provviste anche della specifica segnaletica orizzontale, con pavimentazione
contraddistinta nel colore e priva di griglie per la raccolta delle acque.
Ogni progetto di piste ciclabili deve essere corredato da opere per soddisfare
la sosta dei velocipedi. Non basta quindi realizzare una pista qualsiasi,
delimitando una parte della sede stradale o pedonale con una semplice
striscia longitudinale di separazione, ma ci sono tanti accorgimenti per
pedalare in sicurezza e nel rispetto delle altre forme di spostamento.
Pietro Lucadei
- S. Benedetto T., 2000-10-09
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