il Mobbing e l’Italia.
(tra lessico, giurisprudenza e politica)

L’atto di nascita in Italia della parola che da quel momento in poi identificherà il fenomeno non certo nuovo delle vessazioni sul posto di lavoro, è una sentenza del Tribunale di Torino, sez. lavoro I grado, del 16 novembre 1999.
In questa occasione, si riprende un vocabolo già in uso nella pubblicistica soprattutto straniera e gli si da sostanza giuridica.
Ma non si tratta soltanto di un puro adeguamento lessicale ad una sensibilità che sino a quel momento non aveva certo visto brillare l’Italia nelle prime fila; si tratta piuttosto della presa di coscienza di un fenomeno che era stato troppo a lungo sottovalutato nelle sue conseguenze sociali spesso devastanti.
E non è un caso che sia stata proprio la magistratura a tenere a battesimo quel vocabolo: infatti il “vulnus” che ne deriva è assai profondo, e quindi meritevole di provvedimenti giudiziali.
Dunque, il fenomeno di quella sottile vessazione fatta di singoli momenti apparentemente insignificanti se presi a se stanti (tanto che ne risulta difficilissima l’identificazione se non unificati nella logica persecutoria sottesa che li riconduce ad unità) finalmente trova cittadinanza nella giurisprudenza.
Il diritto così assolve alla sua funzione fondamentale, che è quella di essere il portato e la tutela della società, la composizione degli interessi contrapposti, l’impedimento alla prevaricazione.
E’un atto di nascita, si diceva; il mobbing ha finalmente la sua definizione formale, è protagonista di una sentenza di tribunale, esiste in un aula giudiziaria, quindi inizia ad esistere come “soggetto- oggetto” di una presa di coscienza da parte di tutta la società e quindi della politica, la quale dovrebbe probabilmente evitare l’insorgere dei conflitti, delle contrapposizioni di interesse, delle prevaricazioni piuttosto che attendere che sia la magistratura a porgerli davanti agli occhi.
Ma….come si dice….”meglio tardi che mai”, no?
Ma ora vediamo come quella sentenza ricostruisce il fenomeno nella sua espressione innanzitutto lessicale.
Si ricerca l’origine del termine in una precisa ricostruzione del suo “apparire”:
“….il termine proveniente dalla lingua inglese e dal verbo to mob (attaccare, assalire) e mediato dall’etologia, si riferisce al comportamento di alcune specie animali, solite circondare minacciosamente un membro del gruppo per allontanarlo. Spesso nelle aziende accade qualcosa di simile, allorché il dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori e, in particolare, vengono poste in essere nei suoi confronti pratiche dirette ad isolarlo dall’ambiente di lavoro e, nei casi più gravi, ad espellerlo; pratiche il cui effetto è di intaccare gravemente l’equilibrio psichico del prestatore, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocano catastrofe emotiva, depressione e talora persino suicidio”.
Questo ripercorrere l’origine del termine e la interpretazione che ne da la sentenza, ben si sposa con altre autorevoli definizioni che ne erano state date in precedenza.
Heinz Leyman, medico tedesco vissuto in Svezia, è stato il primo ricercatore a dare negli anni 80 una definizione completa del mobbing,:
“il mobbing o terrore psicologico sul posto di lavoro è una modalità di comunicazione ostile e non etica diretta sistematicamente da uno o più soggetti verso un solo individuo che è così spinto e mantenuto in una condizione di impotenza. Queste azioni negative avvengono con una frequenza elevata, almeno una volta alla settimana e per periodi protratti, almeno per sei mesi. A causa della frequenza e della durata del comportamento ostile, questo maltrattamento porta a sofferenza mentale,psicosomatica ed a disagio sociale”.
Harald Ege, ricercatore sociale, molto attivo in Italia e fondatore dell’Associazione “Prima” di Bologna afferma:
“il mobbing, ovvero il terrore psicologico sul posto di lavoro, significa anche molestie morali, ma molto più di questo.Il mobbing è un’aggressione, che purtroppo spesso va ben oltre il livello verbale, perpetrata in un ambito delicatissimo e di fondamentale importanza per la persona umana: il lavoro, la capacità professionale, la “faccia”sociale, di ognuno di noi. Per questo il mobbing è estremamente pericoloso e lesivo. Quando un lavoratore è mobbizzato, perde molto di più della sua credibilità nei confronti dei colleghi o dei clienti o della sua professionalità: viene privato della sua dignità di persona sociale. Inoltre non va dimenticato che il mobbing non si esaurisce nell’attacco verbale o nel demansionamento.Conosco vittime di mobbing che sono state a tutti gli effetti sottoposte a violenza fisica, schiaffeggiate o prese a pugni, molestate sessualmente o spinte per le scale, la cui automobile è stata danneggiata o la porta di casa incendiata”.
Come si può notare, il fenomeno (per lo meno da parte degli studiosi) non era stato affatto ignorato: la novità costituita dalla sentenza, torno a ripeterlo, è il riconoscimento formale e giuridico anche in Italia della sua esistenza, quindi, per quanto ci riguarda, il suo “certificato di nascita”.
Come in ogni fenomeno genericamente umano e sociale e più specificatamente giuridico, rilevano le figure di coloro che lo pongono in essere e di coloro sulla cui sfera soggettiva il fenomeno stesso va ad incidere.
Coloro, sono gli “attori” del mobbing, che possono essere così elencati:
Mob o mobbizzato: è il destinatario dell’azione mobbizzante, e presenta alcune caratteristiche per lo più ben identificabili; solitamente vengono colpiti i creativi quei lavoratori cioè che hanno particolari capacità e sono più propositivi, venendo scarsamente tollerati da un gruppo che tende ad essere omogeneo su livelli intermedi, a volte mediocri; altro bersaglio sono gli onesti ,coloro cioè che, non legati a cordate di potere, rifiutano tali logiche, oppure i disabili o i più anziani dal punto di vista lavorativo, perché costano troppo, o i superflui, perché ritenuti in esubero nell’ambito dei processi di rinnovamento delle aziende.
Ma anche chi non rientra strettamente in questo identikit della “vittima” può a sua volta essere coinvolto in una situazione di “mobbing”.
Infatti il già citato Leymann afferma che tra personalità della vittima e coinvolgimento in una situazione di mobbing non vi è correlazione ma che, al contrario, il mobbing può essere subito da chiunque. Il mobbing secondo Leymann dipende dalle circostanze e dall’ambiente sociale e organizzativo in cui si verifica, non dalla personalità dei suoi attori. In altre parole, i fattori organizzativi spiegano l’insorgere del mobbing meglio dei tratti di personalità dei soggetti coinvolti.
Mobber o aggressore:
definito dalla letteratura scientifica il “cattivo”, questi ha una personalità psicopatologicamente disturbata.
Il disturbo si manifesta con caratteristiche narcisistiche della personalità e viene evidenziato dalla presenza di alcune delle seguenti caratteristiche: senso grandioso di importanza (egli esagera risultati e talenti, si sente superiore senza alcuna motivazione); l’essere assorbito da fantasie illimitate di potere, successo,bellezza fascino, che lo conducono a credere di essere speciale e unico e di poter frequentare persone speciali come lui o di classe elevata ed essere da loro compreso; la pretesa di essere ammirato;il sentire che tutto gli è dovuto; l’approfittare degli altri per i propri scopi; l’incapacità di riconoscere i sentimenti e le necessità degli altri (mancanza di empatia); l’invidia degli altri o la convinzione di essere invidiato; il mostrare piacere assumendo comportamenti arroganti e presuntuosi.
Side mobber o co-mobber:
l’adeguamento al branco o al capo costituisce uno degli automatismi più frequenti. Talvolta basta che uno o più soggetti carismatici si scaglino contro qualcuno perché diversi altri individui deboli , non intervengano nella speranza di non diventare a loro volta vittime,oppure si schierino subito dalla parte del più forte, scaricando tutte le proprie frustrazioni sulla vittima.
La subalternanza caratteriale e l’asservimento psicologico ai più forti sono meccanismi estremamente importanti nell’origine e nello sviluppo della patologia.

E’ infine importante considerare le varie “geometrie” con le quali si manifesta il fenomeno del mobbing, e cioè:
Mobbing verticale: l’azione implica la gerarchia organizzativa.
Può assumere varie caratteristiche rispondenti ad altrettanto varie finalità.
Esistono dunque:
il Mobbing strategico: l’azione viene usata strategicamente dalle imprese per promuovere l’allontanamento dal mondo del lavoro di soggetti in qualche modo scomodi (per esempio se appaiono troppo costosi, oppure non corrispondono più alle attese dell’organizzazione)
il Bossing : l’azione assurge a vera e propria strategia aziendale di riduzione del personale. Difatti essa viene compiuta dai quadri o dai dirigenti dell’azienda e quasi sempre si gioca ad ogni livello possibile.
In quest’ultimo caso si tratta di una vera e propria ricerca finalizzata a distruggere i dipendenti
Mobbing Down-up : in questo caso si verifica un fenomeno contrario al mobbing verticale.
L’azione parte dal basso ed è indirizzata verso l’alto.
Di solito è compiuta da un gruppo di collaboratori coalizzati per estromettere il capo tramite una sua delegittimazione (svuotandone dall’interno il potere).
Mobbing orizzontale: e’ quello praticato tra colleghi, in quanto a causa delle difficoltà di occupazione e della mancanza di trasparenza sia nell’accesso al lavoro che nello sviluppo di carriera, viene favorita una eccessiva competizione in grado di attivare alti livelli di aggressività e di destrutturare i rapporti relazionali.

Dunque, la magistratura italiana nel 1999 ha redatto il certificato di nascita del fenomeno mobbing presentando la neonata fattispecie giuridica alla società tutta, con la conseguenza che ormai anche il livello politico della società non potesse più ignorarne l’esistenza.
Da quel momento sono stati infatti presentati diversi disegni di legge.
Tutt’ora si è comunque in attesa di un testo unificato soddisfacente e idoneo.
Al momento, per risolvere le cause di mobbing, si fa ricorso alle sentenze precedenti (dal 1999 fino ad oggi) ed alla normativa vigente (Costituzione. Codice Civile,Codice Penale, Decreto legislativo 626/94, Statuto dei lavoratori).

Daniela Di Gaspere


Primo Piano, 2005-11-28